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 2021  luglio 01 Giovedì calendario

Nell’Ungheria di Orban, multe e carcere a chi promuove omosessualità e cambi di genere

BUDAPEST – «Togli quell’arcobaleno dallo zainetto o ti arresto». Quando la figlia sedicenne di Sofia Ferencz è tornata a casa da scuola, ancora tremava. Un poliziotto l’aveva fermata per strada perché portava una minuscola bandiera in segno di solidarietà con la comunità lgbtq+ e ha minacciato di trascinarla al commissariato. Sua madre, a distanza di giorni, è ancora scioccata, ma sa di non poter fare nulla. In Ungheria la discriminazione è legge.
Lo zelante poliziotto ha semplicemente applicato alla lettera l’ultima barbarie decisa da Viktor Orbán. Così come l’hanno applicata fedelmente due ungheresi, un padre e un figlio, che hanno sputato in faccia e preso a schiaffi una coppia di lesbiche tedesche che erano venute a Budapest a vedere una partita degli Europei. E altrettanto seriamente sembrano averla interpretata un gruppo di teppisti che ha pestato a sangue due uomini che si tenevano per mano a Pécs. Un altro paesino, Parad, ha fatto sapere che aderisce alla cosiddetta «legge contro la pedofilia». È tautologico perché le nuove norme valgono per tutta l’Ungheria. Ma il sindaco ha voluto manifestare così tutto il suo entusiasmo per l’ennesimo giro di vite omofobo di Orban.
La presunta legge «contro la pedofilia» approvata a inizio giugno ha suscitato un’ondata di indignazione in tutta Europa e ha provocato l’isolamento, all’ultimo Consiglio Ue, del premier Orbán. Equipara, di fatto, ogni forma di diversità e di omosessualità alla pornografia. E minaccia il carcere e multe salatissime per chi le «promuova». La norma, testualmente, «vieta di rendere accessibile ai bambini sotto ai 18 anni qualsiasi contenuto che promuova o rappresenti deviazioni dall’identità rispetto a quella con cui si è nati», dunque «le transizioni di genere e l’omosessualità». Ovviamente è ridicolo pensare che riguardi solo la scuola; riguarda anzitutto i giornali, la televisione, gli atteggiamenti quotidiani delle persone lgbtq+.
«Tradotto altrimenti, vuol dire che in Ungheria nessuno può parlare più pubblicamente di omosessualità», ci spiega Demeter Aron, quando lo andiamo a trovare alla sede nazionale di Amnesty International, nel centro di Budapest. «È una legge talmente ambivalente che diventa di fatto è una censura che riguarda tutta la sfera lgbtq+. E le sanzioni sono severissime, per chi è accusato di “promuoverla”: si va dalla sospensione delle frequenze tv e radio a multe da 500mila euro alla cancellazione dall’albo dei media ungheresi».
E poi c’è la scuola, ovviamente, dove «ogni forma di diversità sarà totalmente cancellata e censurata», spiega Aron. È una legge che «avrà conseguenze serissime sui bambini». E questo in un Paese in cui un sondaggio recente della Hatter Society ha dimostrato che il 42% delle persone lgbtq+ pensa al suicidio. E tra gli adolescenti è la stragrande maggioranza: addirittura il 64%.
Luca Dudits, esponente della Hatter Society, la più importante Ong a difesa dei diritti lgbtq+, è convinto che «l’obiettivo principale di Orbán sia quello di spaccare l’opposizione. E l’omofobia è un argomento ideale». L’opposizione ungherese, dalla destra di Jobbik all’estrema sinistra, ha deciso di presentarsi in una lista unitaria alle elezioni del 2022, persino con un candidato unico che sarà scelto alle primarie di ottobre. Uno dei favoriti è il sindaco di Budapest, Gergely Karacsony. Ma le questioni lgbtq+ rischiano di dividere il fronte anti-Orbán. Prima della legge, a fine maggio, i sondaggi davano i due schieramenti testa a testa; nelle ultimi indagini, dopo il via libera della “legge contro la pedofilia”, il partito dell’autocrate magiaro Fidesz è scivolato due punti avanti all’Alleanza unita dell’opposizione.
Quanto sia violenta la propaganda omofoba in Ungheria lo dimostra un episodio che risale all’autunno del 2020, quando è uscita La favola per tutti di Dorottya Redai e Boldizsar Nagy. Un libro che rivisita le fiabe classiche e in cui compaiono Cenerentole Rom, Regine dei ghiacci lesbiche e Principi azzurri gay. Il libro è diventato un caso ed è andato a ruba ma qualche giorno dopo la pubblicazione, il vicecapo del partito di estrema destra Mi Hazank, è comparso in tv strappando il libro e definendolo «propaganda omosessuale». E Viktor Orbán stesso ha commentato La favola per tutti con un rabbioso «giù le mani dai nostri bambini».
«È come se avessero aperto le gabbie, tutti sono legittimati a perseguitarci, adesso». Maria Takacs ha paura. Un ciuffo tinto di viola brilla tra i suoi capelli neri, mentre gira nervosa il cucchiaio nel caffè. Budapest è svuotata dal caldo torrido, i turisti non possono entrare da settembre e per gli ungheresi sono cominciate le vacanze estive. Per chi resta, per chi è lesbica come Maria, il senso di soffocamento non è colpa del caldo. La incontriamo in un caffè del suo quartiere, all’ingresso un gigantesco adesivo invita alla solidarietà con l’Università europea di George Soros, l’ateneo cacciato da Orbán dall’Ungheria dopo una lunga campagna d’odio antisemita.
Maria Takacs lavora per l’ong Labrisz Lesbian Association e sta raccogliendo episodi crescenti di violenza, da quando è passata la legge. «La gente si sente incoraggiata ad attaccarci. Migliaia di ungheresi non hanno avuto remore di cantare qui allo stadio di Budapest “Ronaldo, Ronaldo, omosessuale” sotto gli occhi del mondo, durante Ungheria- Portogallo. E da anni Orbán alimenta l’odio contro tutte le minoranze: ebrei, rom, migranti, comunità lgbtq+». Maria ha appena finito di girare un documentario sulla comunità lgbtq+ «ma non penso che potrà mai essere proiettato qui in Ungheria». In passato, ha raccolto testimonianze di omosessuali e lesbiche durante il regime comunista. Nel suo Secret years, “Anni segreti”, una donna racconta della sua infanzia, quando doveva nascondere il fatto di essere lesbica, quando era considerata una malattia: «Un giorno dissi che da grande volevo essere Valentina Tereskova», la prima cosmonauta donna nello spazio. «Ma mi dissero “smettila, sii realistica”, insomma non potevo diventare una cosmonauta donna». Lei non si scoraggiò. «Ok, risposi, allora posso diventare Yuri Gagarin?».