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 2021  giugno 30 Mercoledì calendario

Il sesso “contro natura” non esiste: lo diceva già Margaret Mead 80 anni fa

Pochissime parole sono state e sono più violentate di “libertà”. Tutti la pretendono per sé. Nessuno, però, è disposto a concederla all’altro. Nel suo nome sono stati compiuti (e si compiono) i delitti più efferati della Storia. Un giochino vecchio come il mondo, che, purtroppo, riesce sempre. Malgrado gli innumerevoli moniti del passato, infatti, nulla ci spaventa più della libertà. E, così, non vediamo l’ora che qualcuno ce la tolga, e ci liberi dal terrore di pensare con la nostra testa e assumerci la responsabilità delle nostre decisioni.
Cosa c’entra questo con un grande classico dell’antropologia come Sesso e temperamento? Tutto, a ben guardare. Questo saggio, fondamentale e straordinariamente attuale, infatti, dimostra – al di là di ogni ragionevole (e irragionevole) dubbio – che è la cultura, non la biologia la forza principale che plasma la personalità degli individui. La personalità – maschile o femminile – non è altro che un “prodotto sociale”. Alla società serviamo in un certo modo e, così, fa di tutto per renderci conformi alla sua visione e alle sue esigenze. Sue, appunto, non nostre. Sociali, dunque, non naturali. Fa benissimo, quindi, il Saggiatore a rimandare in libreria questo testo, in un momento nel quale sempre più classi dirigenti calpestano, irridendoli, diritti fondamentali e inalienabili della persona umana. La speranza è che, rivelando la totale mancanza di fondamento di pregiudizi e convinzioni, riusciamo a liberarcene. O, almeno, a capire le reali intenzioni di chi fonda su di essi consenso e linea politica.
Che la situazione sia preoccupante – anche grazie all’alleanza mortale potere/social media – lo dimostra il fatto che, a distanza di 86 anni dalla pubblicazione (1935) di queste illuminate e illuminanti tesi, non solo siamo ancora convinti che sia la biologia a definire il nostro “orientamento sessuale”, ma ci ostiniamo anche a sostenere che l’omosessualità sia contro natura. Come se, in natura, potesse sopravvivere qualcosa che è contro natura. Cos’è? All’improvviso non siamo più darwinisti e non crediamo più nella “selezione naturale”? Ma, allora, perché abbiamo elevato a divinità un mercato che stravolge l’esistenza di miliardi di persone, rendendo schiavi interi Continenti? Si può credere nel “darwinismo sociale” e non in quello “naturale”? Possibile, poi, che nessuno rilevi il cortocircuito logico di chi – in nome del primato della Natura – decide di estirpare omosessualità e altre “deviazioni”, intervenendo sulla cultura? Delle due l’una: o – come sostiene Mead – comanda la cultura e, allora, educazione e formazione possono davvero fare la differenza oppure – come sostengono gli Lgbtfobici – comanda la Natura e, allora, norme come quelle volute da Orbán, oltre che assurde, sono completamente inutili. Del resto, se fosse la natura e non la società ad attribuire a uomini e donne qualità e ruoli diversi, in Nuova Guinea, gli uomini arapesh non si prenderebbero cura dei loro figli in modo decisamente materno; le donne mundugumor non sarebbero aggressive, violente e animate da uno spirito di competizione tipicamente maschile; e le donne ciambuli non deterrebbero nei confronti degli uomini una posizione di potere.
Sono le società, non la natura, spiega Mead, a imprigionarci in quelle che definisce “standardizzazioni artificiali”; “finzioni sociali delle quali non abbiamo più bisogno”. Confinare la donna nella maternità, ad esempio, non solo è “uno spreco dei doni naturali di tante donne, le quali potrebbero esercitare molto meglio funzioni diverse da quella di generare e allevare bambini”, ma è anche uno “spreco di doni naturali di molti uomini, capaci di esprimere il meglio di sé nell’ambito della casa anziché in quello, poniamo, del commercio”. Quel “gender gap” che ci vorranno più di 135 anni per colmare, dunque, è un prodotto della società, non della natura. Attenzione, però: Mead non chiede di sacrificare le distinzioni fra personalità di un sesso e dell’altro, rinunciando al valore della “complessità umana” e producendo “perdita sociale”. Al contrario, invita a lasciare ogni differenza libera di esprimersi e offrire il proprio contributo alla società. “Il membro di una società – osserva – è tanto più ricco quanto più la sua società promuove nuove forme diverse di personalità, consentendo che un gruppo di età o di classe o di sesso persegua scopi negati o ignorati da un altro gruppo”. “Se vogliamo elevarci a una cultura più ricca, più ricca di valori contrastanti – scrive – dobbiamo accettare tutta la gamma delle personalità umane, e con essa fabbricare un tessuto sociale meno arbitrario, nel quale ogni diversa dote umana trovi il posto che le conviene”.
Diversità è ricchezza, dunque. Sempre, non solo nelle categorie di certa politica per la quale l’unica identità sacra è la propria mentre tutte le altre devono essere annientate. La logica o è libera o non è logica. Chi la piega ai propri interessi, non solo uccide lei ma rivela a tutti noi il suo vero volto di liberticida.