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 2021  giugno 30 Mercoledì calendario

Helnwein sfida l’ultimo tabù

In un’ipotetica classifica della cattiveria, gli artisti austriaci risulterebbero di certo in testa. Basti pensare al loro modo di intendere la Body Art: violenza, spargimenti di sangue, automutilazioni, baccanali e riti orgiastici. Gli azionisti viennesi, da Nitsch a Brus a Schwarzkogler, più volte sono incappati nelle maglie della censura per aver sfidato limiti e convenzioni di ciò che è irrappresentabile e cosa no.
Un’estetica sopravvissuta all’epoca d’oro della performance e trasferitasi in altri linguaggi, nella pittura e nella fotografia, ma che senza dubbio origina da quella rivoluzione visiva dei tardi anni ’60. Chi ricerca ancora queste emozioni forti dovrà assolutamente visitare la mostra di Gottfried Helnwein, dal 2 luglio al 15 agosto, presso la Sala Sansoviniana della Biblioteca Marciana di Venezia, e conoscere meglio questo artista di culto eppure popolarissimo tra un pubblico non solo di specialisti ma di gente che ama il rock più glam, la fotografia di moda e le atmosfere cupe dell’iperrealismo. Si intitola Quel silenzioso bagliore, unisce fotografia e pittura, punta il dito accusatorio contro i soprusi subiti dai bambini. Non sarà arte sociale ma la critica arriva ben dritta contro l’indifferenza del mondo. Almeno è ciò che ci viene annunciato: ma sarà davvero così?
Nato a Vienna nel 1948, Helnwein veste di nero, anelli al dito e catenazze al collo, capelli lunghi come un’attempata rockstar. Amatissimo dagli attori di Hollywood – tra i fan annovera Sean Penn, Arnold Schwarzenegger e Nicolas Cage – ha cominciato a lavorare nell’arte degli anni ’70 con acquerelli e disegni in cui presentava bambini feriti e mutilati giocando, è il caso di dirlo, con l’ambiguità della bellezza distorta e il fascino del male. In Opposite, del 1988 raffigura Hitler che tiene per mano due bimbe, per un periodo si dedica a performance spiccatamente false quasi a denunciare la teatralità dei suoi amici azionisti. Dove i limiti del visivamente tollerabile sono varcati è nella serie Angel Sleeping, foto di feti abortiti. Insomma, tutto lasciava supporre che Helnwein rimanesse confinato nella violenza più gratuita, fino all’incontro con il rock. Nel 1997 viene contattato per fotografare i Rammstein, ovvero l’ala più dura del post-industrial tedesco, e ne tira fuori la loro immagine più forte. Demetrio Paparoni, che ne ha curato la recente monografia e in Italia è senz’altro il maggior conoscitore, racconta che «dalle diverse sessioni Helnwein ha ottenuto i ritratti dei sei membri, usati per l’album Sehnsucht che infatti è stato pubblicato con sei diverse copertine. In un lavoro successivo è intervenuto sui loro volti imbiancandoli e intrappolandoli con strumenti di tortura. Sono fotografie che lasciano avvertire una tensione esistenziale simile a quella espressa dai dipinti di Bacon. Il volto deformato con il nastro adesivo mima invece le ferite dei mutilati della Prima guerra mondiale».Più ancora dei Rammstein è Marilyn Manson il volto che gli trasmette maggior ispirazione. Ambiguo, genderless, privo di identità precisa, Manson posa per la serie The Golden Age del 2003 trasformandosi da maschera ancora con un’identità umana a macchina cibernetica in acciaio, immagini che finiscono nell’artwork dell’album The Golden Age of Grotesque e della cover di Tainted Love. Nel suo pantheon di celebrità figurano anche Andy Warhol, Charles Bukowski e William Burroughs, immortalati come evanescenti fantasmi in bianconero.
Non inganni più di tanto il taglio glamour. La ricerca attuale è indirizzata soprattutto sul mondo dell’infanzia; prima dell’esplosione incontrollata del politicamente corretto e della sindacalizzazione dell’arte in categorie protette, sembrava che la violenza contro i minori fosse l’ultimo tabù della società occidentale, e anche se oggi molto è cambiato resta viva l’irritazione, il fastidio, nei confronti di qualsiasi immagine che anche soltanto ipotizzi venga fatto del male a chi non si può difendere. Che posizione tenere dunque davanti alle opere di Gottfried Helnwein dove non viene tracciata alcuna distinzione con il mondo degli adulti e dove l’infanzia è allo stesso tempo luogo della tragedia, dell’innocenza e della colpa? Nell’ambiguità, nell’assenza di risposta è buona parte del fascino di un lavoro comunque difficile da digerire e solo in parte attenuato dalla raffinatezza e dalla costruzione artificiosa e melodrammatica, tratti stilistici che ne spiegano il grande successo nelle recenti mostre all’Albertina di Vienna e a Los Angeles, dove l’artista vive.