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 2021  giugno 30 Mercoledì calendario

A 16 anni Laura Marinoni voleva farsi monaca

A 16 anni voleva entrare in convento per diventare suora di clausura. «Fu un momento profondamente mistico», dice Laura Marinoni che il 3 luglio sarà Clitennestra nelle Coefore di Eschilo, diretta da Davide Livermore, aprendo la 56ª stagione del Teatro Greco di Siracusa. «Frequentavo il liceo – continua l’attrice – ero magrissima, tutta occhi e ossa, e mentre i miei compagni il sabato sera andavano in discoteca, io prendevo il treno e andavo in convento ad Arma di Taggia: adoravo sentire, attraverso le grate, i canti delle suore. Mia madre era disperata: vivevo il passaggio dalla pubertà all’adolescenza in modo critico».
Però, poi, suora non è diventata: «Fu grazie a un incubo notturno: sogno di trovarmi vestita da suora in un chiostro, comincio a strapparmi la tonaca mentre urlavo “sono ancora in tempo!”. E la mattina dopo era tutto finito». Figlia di farmacisti, come nasce l’amore per il teatro? «Grazie a Giorgio Strehler. Con la scuola andavo a vedere i suoi spettacoli e avvertivo una frenesia, non volevo stare in platea, ma in palcoscenico. E un giorno dico a mia madre: da grande farò l’attrice. Lei risponde secca: vedremo!». Proprio da Strehler, in seguito, è stata diretta in palcoscenico: «Certo, e prima ancora da Patroni Griffi, da Albertazzi... Ma ho sempre pensato che il grande regista di tutto è Dio: ognuno di noi contiene dentro di sé delle qualità, bisogna farle emergere. Ho avuto dei maestri che mi hanno aiutato ad avere fiducia in me stessa».
Una fiducia mai vacillata? «Come no! Ricordo un episodio scioccante. Ero a Modena, in prova con Un tram che si chiama desiderio nel ruolo di Blanche con la regia di Antonio Latella. Uno spettacolo difficile. Quella sera, fuori dal teatro nevicava e io avevo problemi a memorizzare la parte. Il regista mi blocca, mi umilia davanti a tutti e, quando ricomincia la prova, io scappo. Ancora in costume di scena, sui miei tacchi a spillo, fuggo nella neve: slittavo sul ghiaccio e piangevo a dirotto, ero disperata».
Come va a finire? «Dopo due ore di fuga, torno in teatro, trovo Antonio nel corridoio dei camerini: non ci diciamo niente, ci abbracciamo. Fu la più bella interpretazione della mia vita fino a quel momento, ero davvero calata nel ruolo di Blanche la reietta. Sono convinta che il regista mi abbia umiliato apposta, a volte si ha bisogno di questi traumi per uscire dall’angolo».
Dalla neve di quella sera a Modena, ora è nel ghiaccio e nel fuoco che invade il palcoscenico delle Coefore, con un personaggio altrettanto problematico. Chi è la sua Clitennestra? «Di solito viene considerata una donna assassina e vendicatrice, perché ordisce la congiura con Egisto per uccidere il marito Agamennone. Una sorta di dark lady. Quando affronto un personaggio considerato negativo, cerco sempre di trovare i lati positivi. Stavolta ce ne sono parecchi. Prima di tutto ha avuto un matrimonio con un marito violento, che prima di sposarla ha ucciso il suo primo marito e poi la loro comune figlia Ifigenia. È una vittima totale, anche perché Agamennone torna da Troia accompagnato dalla sua amante Cassandra. Mettiamoci nei panni di una donna tradita da un uomo che ha sposato per forza e che ora vuole ridurla a una inserviente. Lei si ribella, vuole vivere la sua vita e si innamora di Egisto, ma non la si può condannare per questo! E poi viene uccisa dal figlio Oreste, che vuole vendicare il padre».
Una vicenda di abusi in ambito familiare, che somiglia a tanti attuali casi di cronaca? «Violenza chiama violenza: ancora oggi la donna madre e amante non è accettata dall’uomo e viene uccisa. In questi giorni di prove, sono assalita da incubi: l’inconscio sta lavorando sul personaggio». Perché Livermore ambienta la tragedia negli anni 40? «Perché è il periodo nazista: più “caduta degli dei” di così...».