La Stampa, 30 giugno 2021
Tutti i demoni della città degli angeli. Il nuovo romanzo di Tatantino tratto da C’era una volta Hollywood
Quentin Tarantino è un regista visionario e rivoluzionario, ma è il primo a considerarsi innanzitutto uno scrittore: sin dall’esordio cinematografico con Le iene, i suoi dialoghi sono folgoranti per il misto di nonsense e assoluto realismo, ironia e spaesamento di fronte al mistero dell’esistenza. Basti pensare a «io non credo nelle mance», la discussione con cui inizia quel film, o il dialogo tra John Travolta e Samuel L. Jackson sul modo con cui vengono chiamati gli hamburger in Francia in Pulp Fiction. Non è un caso che il primo Oscar lo abbia vinto come sceneggiatore, e il suo approccio rivoluzionario si manifesta anche nel modo in cui riscrive la storia: all’epoca di Bastardi senza gloria, un critico autorevole come Daniel Mendelsohn riconobbe il suo formidabile talento, ma sollevò problemi morali sul fatto che riscrivesse la storia dell’Olocausto, regalando un inesistente lieto fine.La stessa obiezione è stata fatta per C’era una volta a Hollywood, del quale uscirà domani in Italia il romanzo per La nave di Teseo: come è noto Tarantino immagina che Sharon Tate e i suoi amici sopravvivano al massacro di Bel Air e invece la famiglia Manson venga sterminata da Leonardo Di Caprio, nel ruolo di un modesto attore televisivo, e Brad Pitt, nei panni della sua fedelissima controfigura. Il libro, godibilissimo, aiuta a comprendere che quanto sta a cuore a Tarantino non è tanto la riscrittura della storia, ma raccontare luci e ombre di una città che ha gli angeli nel suo nome ma è spesso popolata da demoni.Come il film, C’era una volta a Hollywood, è innanzitutto una dichiarazione d’amore per Hollywood, amata nonostante sia piena di violenza, volgarità, superficialità e inaffidabilità: è la città in cui è cresciuto, e nella quale ha imparato come nessuno che l’arte può nascere nel momento e nel luogo più inaspettato. La tag-line, frase di lancio utilizzata nel romanzo come se si trattasse di un film, recita del resto «Hollywood 1969: avresti dovuto esserci». Ed è il luogo dove, commesso in negozio di videocassette, ha divorato tutto il cinema esistente, a cominciare da quello di serie B e C, che lui ha in seguito rielaborato, trasformandolo in opere che rimarranno nella storia del cinema: del resto l’intera operazione è una novelization, la pratica hollywoodiana che vede nascere romanzi da film.Non diversamente dal film, il romanzo riesce a essere esilarante e brutale, come nel racconto dettagliato del modo in cui il personaggio di Brad Pitt ha ucciso la moglie, tranciandone in due parti il corpo. Uno degli elementi di maggiore novità rispetto al libro è rappresentata dal fatto che la città è vista dagli occhi di questo personaggio, eroe della Seconda guerra mondiale: nonostante l’efferatezza dell’uxoricidio, Tarantino riesce a non farcelo odiare. Un’altra novità è rappresentata dal potenziamento del ruolo di Sharon Tate, nativa del Texas e appena giunta alla fama grazie a un paio di film trascurabili e al ruolo di protagonista di Per favore non mordermi sul collo, diretto dal marito Roman Polanski.All’epoca dell’uscita del film, in molti lamentarono il fatto che il personaggio fosse poco delineato e avesse poche battute: attraverso il suo sguardo il libro cambia la prospettiva, e risulta ancora più commovente il momento finale, in cui invita i due protagonisti maschili a bere qualcosa, ignara di essere scampata al massacro. Ed è dedicato maggiore spazio alle agghiaccianti scorribande notturne di Manson e la sua «famiglia», convinti che il bagno di sangue da loro generato fosse il viatico per un’apocalisse rigeneratrice.Una delle scene originali più riuscite e inquietanti vede il personaggio di Pussycat entrare di notte in una casa dove abitano due anziani con una lampadina rossa in bocca con il solo intento di terrorizzarli. Tarantino sposa la tesi per cui la famiglia Manson avesse scelto la villa al 10050 di Cielo Drive puntando a uccidere Terry Melcher, il dirigente discografico che lo aveva deriso quando gli aveva portato dei provini con le sue musiche. Il giovane, figlio di Doris Day, aveva affidato da poco la villa a Polanski, nella quale viveva regolarmente insieme alla compagna Candice Bergen.L’equivoco aggiunge alla morte di Sharon Tate un senso di raggelante fatalità che sposa la visione di Tarantino di Los Angeles. Ogni tanto è lo stesso regista-scrittore a comparire nel romanzo, che mescola divertenti divagazioni sul cinema western e sul pulp: è il suo modo di offrire dei cameo. Non mancano alcuni passaggi di scorrettezza politica: un velo di misoginia è sottotraccia ed è costante l’uso di epiteti razziali, attutiti dal fatto di essere pronunciati sullo schermo da attori di colore. E sono numerosi i passaggi ironici: grazie alla fama conquistata per aver sterminato la famiglia Manson, Rick Dalton (Di Caprio) diviene un ospite abituale del Johnny Carson Show, e un eroe di Richard Nixon e la sua maggioranza silenziosa che detestava gli hippies.E nelle 400 pagine del romanzo Tarantino inserisce come sempre delle chicche per i cinephiles: Alan Ladd è definito come l’attore meglio pettinato di Hollywood, e molte pagine appaiono un omaggio a Elmore Leonard, da cui ha tratto Jackie Brown. Sulle pagine del New York Times Dwight Garner ha scritto che il corrispettivo americano della mitologia è il Pop: Tarantino ne è assolutamente consapevole, e già nella scelta del titolo ci ricorda che non c’è nulla di realistico, o forse tutto, perché stiamo parlando di un «c’era una volta». —