La Stampa, 30 giugno 2021
La diplomazia vaccinale e le strategie di Xi
NEW YORK – ROMA. Si è concentrato su vaccini e lotta alla pandemia il confronto al G20 dei ministri degli Esteri ospitato nella suggestiva cornice di Matera. E ha mostrato come l’opposizione tra l’Occidente e la Cina passi attraverso vari fronti, dalla diplomazia dei vaccini alle politiche di aiuto nei confronti dell’Africa. I toni sono stati accesi, nonostante le dichiarazioni di convergenza. Secondo Luigi Di Maio sconfiggere il Covid e sostenere la ripresa post-pandemia si può fare solo con un approccio sistematico e multilaterale, garantendo l’accesso equo ai vaccini: «Nessuno si salva da solo». Ma i distinguo sul modo di intendere il sostegno ai Paesi più poveri nelle loro campagne vaccinali emergono negli interventi dei ministri, dentro e fuori Palazzo Lanfranchi.
Gli americani, per usare le parole del segretario di Stato Usa Blinken, sono convinti che la Cina sia «la nazione più complicata con cui abbiamo a che fare», e che mascheri interessi post-coloniali (nei confronti dell’Africa) con massicce politiche degli aiuti. È in questo quadro che si inserisce la «Dichiarazione di Matera» con l’obiettivo «fame zero entro il 2030», nella convinzione – al di là delle dichiarazioni d’occasione – che la politica di contenimento della Cina passi anche per l’Africa e la gestione delle sue fragilità.
Sulla linea americana il ministro tedesco Heiko Maas, che ha puntato l’indice contro «la diplomazia vaccinale» portata avanti da Pechino e Mosca, le cui intenzioni sarebbero mirate a «vantaggi geostrategici di breve termine» anziché ad aiutare la salute globale. Il riferimento è alle milioni di dosi dei vaccini Sputnik, Sinovac e Sinopharm donate a Paesi africani, dell’America Latina, persino europei nei Balcani. Donazioni che agli occhi occidentali appaiono solo una strategia per accrescere la propria influenza nel mondo, a qualsiasi costo. Anche a rischio di somministrare vaccini inefficaci, come alcuni studi ripresi dai media Usa sostengono sia successo in Cile con il Sinovac.
La replica di Pechino non si fa attendere. Collegato da remoto perché ufficialmente trattenuto dalle celebrazioni per i 100 anni del Partito comunista, il ministro cinese Wang Yi rivendica la generosità della Cina: «Noi abbiamo distribuito 450 milioni di dosi a 100 Paesi». Ed esorta il resto del G20 a prendere esempio: «Chi può ha il dovere di contribuire a eliminare il divario di immunizzazione» nel pianeta, ha detto Wang, esortando a fare altrettanto e ad evitare restrizioni all’esportazione dei vaccini e l’eccessivo accaparramento delle dosi da parte di chi ne ha in abbondanza. «Dobbiamo portare più vaccini in più Paesi», avverte Blinken, «ma non in modo unilaterale», perché solo con la «cooperazione multilaterale si può fermare la crisi sanitaria globale». Piuttosto «attraverso il meccanismo Covax, la campagna dell’Oms per l’accesso equo ai vaccini, che gli Usa sostengono con 2 miliardi di dollari. Ieri in Basilicata si è anche parlato delle altre sfide che il mondo deve affrontare come la crisi climatica (Di Maio auspica di raggiungere «la neutralità entro il 2050»).
In definitiva, ciò che emerge dalla giornata di lavori è un ristabilimento dell’alleanza transatlantica all’epoca pre-Trump, con però la permanenza del fattore-Cina – sempre in bilico tra «rivale sistemico» e «partner commerciale». Una partita destinata a giocarsi in modi indiretti e su scacchieri terzi. La sicurezza alimentare dell’Africa, l’emergenza climatica globale sono i prossimi terreni di scontro. O di incontro, volendo. —