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 2021  giugno 29 Martedì calendario

Bombardate dagli Usa le postazioni filo-ayatollah in Siria e in Iraq



Tutto secondo copione. Gli Stati Uniti colpiscono con i caccia le posizioni delle milizie sciite in Siria e Iraq. Almeno quattro i morti in una rappresaglia in risposta a precedenti attacchi contro loro installazioni.
«È un messaggio chiaro e spero che sia stato ricevuto», ha commentato da Roma il segretario di Stato statunitense Anthony Blinken. Un modo per delimitare il sentiero di scontro, ma anche per rinforzare l’idea. A giudicare però dalla reazione dei militanti la storia potrebbe ripetersi: i combattenti hanno promesso vendetta.
Come spesso accade in Medio Oriente un episodio è concatenato ad un altro. Il Pentagono ha presentato la sua azione come un atto difensivo, linea motivata dal fatto che i combattenti filo-iraniani hanno usato in questi mesi razzi, missili, e droni-esplosivi per bersagliare senza grande effetto installazioni usate anche dagli americani. La strategia di frizione/logoramento affiancata dalla richiesta della partenza delle truppe Usa dal territorio iracheno, circa 2500 uomini. L’intelligence ha spiegato che su ispirazione di Teheran le fazioni hanno creato piccoli nuclei, addestrati dai pasdaran, ai quali è stato affidata la missione di infastidire il nemico occidentale. C’è l’esigenza di marcare la presenza – politica e militare anche in chiave interna – e non si è mai rimarginata la ferita rappresentata dall’eliminazione da parte degli americani del generale iraniano Qasim Soleimani e del suo alleato locale al Muhandis.
Via dal Medio Oriente
Dopo il ritiro di altri 2.500 uomini dall’Iraq la Casa Bianca non può mostrarsi arrendevole
Washington ha alzato la voce, ha messo una taglia di 3 milioni di dollari su chi fornirà informazioni utili a scoprire i responsabili delle provocazioni ed ha poi affidato la ritorsione all’aviazione. Da quando c’è Joe Biden alla presidenza l’Air Force è stata protagonista di un paio di raid. L’ultimo ha riguardato le località di Abu Kamal (Siria) e al Qaim (Iraq) dove sono stati distrutti dei depositi gestiti da Kataeb Sayed al Shuhada e Kataeb Hezbollah, sigle che rientrano del cartello delle formazioni allineate con gli ayatollah. Siamo in una regione importante, una cerniera tra due ipotetici fronti.
La conseguenza è che l’area diventa l’arena per i duellanti. Situazione intollerabile per Bagdad, condizionata da fattori esterni. Ha bisogno della sponda statunitense, vuole contenere lo strapotere delle forze pro-Teheran, deve difendere la sua sovranità calpestata. Il premier Mustafa al Khadimi ha condannato il blitz ipotizzando il ricorso a opzioni legali per evitare che accada di nuovo. Anche se è difficile.