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 2021  giugno 29 Martedì calendario

Intervista a Jens Stoltenberg (parla dell’Isis che è a terra ma non è morto)

«Daesh è a terra, ma non ancora fuori combattimento», dice il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in questa intervista. L’ex primo ministro norvegese ha rappresentato l’alleanza politico-militare dell’Atlantico del Nord nell’incontro tra ministri degli Esteri della coalizione internazionale che contrasta lo Stato Islamico, riuniti ieri nella Fiera di Roma. Che la Nato sia impegnata nei confronti di un nemico del genere indica quanto è cambiato il mondo da un secolo all’altro. L’alleanza per la quale è in carica Stoltenberg fu fondata nel 1949 da dodici Paesi. Adesso è formata da 30, molti dei quali di rilievo nella coalizione anti-Daesh, o Isis, composta da oltre 80 nazioni. La Nato nacque per salvaguardare l’Occidente dalla minaccia sovietica. L’unica volta che finora è ricorsa all’articolo 5 del suo Trattato fondativo, in base al quale un attacco a un alleato va considerato aggressione a tutti gli alleati, è stata però dopo le stragi compiute l’11 settembre 2011 negli Stati Uniti da fondamentalisti islamici. E anche altre minacce da Est si configurano in maniere diverse da prima.
Che cosa viene richiesto dalla Nato all’Italia per la Nato mission in Iraq, Nmi, che ha l’obiettivo di rafforzare le forze di sicurezza e le istituzioni irachene?
«Il vostro Paese ha giocato e gioca un ruolo molto importante nella nostra attività di contrasto del terrorismo. Nel maggio 2022 l’Italia prenderà in Iraq il comando della missione di addestramento delle forze locali. Ho incontrato le vostre truppe. Mi congratulo con il vostro Paese per l’impegno, il sostegno concreto e la guida che ha dimostrato essendo disposto ad assumere il comando. Come dicevo nell’incontro della coalizione, stiamo accrescendo l’azione in Iraq e lo faremo con più addestratori e più consiglieri perché crediamo che la migliore via per combattere Daesh sia rafforzare le forze locali, essenziali per prevenire un ritorno di Daesh».
Su quali forze può contare oggi lo Stato Islamico?
«In Iraq e Siria ha perso il controllo del territorio. Un grande risultato a cui gli alleati della Nato, la coalizione nata nel 2014 e altri hanno contribuito. Ma Daesh c’è. In Iraq e Siria agisce in clandestinità. In Africa e altrove cerca di controllare zone. Daesh è a terra, ma non ancora fuori gioco. Dunque dobbiamo continuare lo sforzo volto a ridurre la sua capacità di organizzare attività e propaganda, e lo facciamo».
Quali nuove azioni sta compiendo o compirà la Nato in Africa contro Daesh?
«La settimana scorsa una nostra delegazione ha visitato la Mauritania per intensificare il partenariato, appoggiare unità speciali e aumentare la cooperazione con il G5 Sahel (forza congiunta istituita nel 2017 per fronteggiare espansioni di terrorismo da Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, ndr). Giorni fa la Nato ha firmato un accordo per garantire appoggio logistico alla Takuba task force (forza formata nel 2019 per assistere le forze maliane in coordinamento con altre del Sahel, ndr). L’intesa riguarda forniture di carburante, acqua e servizi per le truppe. Un messaggio importante è stato dato al vertice della Nato in giugno a Bruxelles: l’Alleanza, compreso il presidente del Consiglio Mario Draghi, ha concordato l’Agenda 2030 e fa parte di questo aumentare le nostre capacità di addestramento in Iraq, rafforzare le istituzioni e sostenere la lotta al terrorismo in Medio Oriente, Nord Africa e Sahel».
Il ruolo dell’Italia
L’Italia ha giocato e gioca un ruolo molto importante nella nostra attività di contrasto del terrorismo, soprattutto in Iraq
Mentre era in carica l’Amministrazione di Donald Trump e prima, Stati Uniti ed Europa hanno ridotto l’incisività della propria azione politica e per la sicurezza lasciando spazi vuoti nel Mediterraneo. In quei vuoti si sono dilatate presenza militare della Russia, penetrazione economica e influenza politica della Cina. Mosca adesso ha basi in Siria e di fatto in Libia. Infrastrutture dei Balcani e di Paesi europei come la Grecia sono in mano cinese. Che cosa può fare la Nato per recuperare gli spazi perduti?
«Se noi non siamo presenti ci sarà facilmente qualche vuoto riempito da altri. Intorno a noi le presenze di Russia e Cina sono cresciute in vari modi. In termini militari, e, in particolare da parte della Cina, in investimenti in infrastrutture con ruoli delicati. La Cina ci viene vicino in Africa, nell’Artico. Per lo più a causa della sua ascesa assistiamo a un cambiamento nei rapporti di potere. Perciò i capi di Stato e di governo della Nato hanno tracciato una rotta su come rispondere a un mondo più competitivo. Rientrano in questo l’investire nella difesa, la resilienza, le tecnologie, il proteggere le infrastrutture come le discussioni recenti sul 5G (la quinta generazione di telefonia mobile sulla quale Pechino è all’avanguardia, ndr) dimostrano».
Non può essere un impegno soltanto militare.
«Per favorire sviluppo di tecnologie e diminuire divari tra alleati stiamo preparando un nuovo strumento. Lo chiamiamo Defense Innovation Accelerator of the North Atlantic, Diana. Creerà una comunità transatlantica di innovazione: alleati e industrie lavoreranno con start-up, università e nuove generazioni di militari».
Una rete più che un centro.
«Un insieme di centri collegati, in Europa e America. Istituiremo un fondo per l’innovazione che possa sostenere start-up e lavorare su tecnologie a doppio uso. Una caratteristica della Nato per decenni è stata il nostro vantaggio tecnologico. Dobbiamo assicurarci che duri in un mondo nel quale specialmente la Cina investe pesantemente in nuove tecnologie aggressive, intelligenza artificiale, mobilità autonoma, droni. In passato tecnologie avanzate sono cresciute nel settore militare: Gps, Internet, nucleare sono stati sviluppati da entità di difesa di proprietà degli Stati. Oggi ci sono tecnologie dirompenti sviluppate in campo privato. Diana aiuterà i privati a lavorare con i militari».