La Stampa, 29 giugno 2021
Centodieci uomini di Stato indagati, otto agenti dietro le sbarre, sedici ai domiciliari. Tutti i numeri della mattanza al carcere di Santa Maria Capua Vetere
Santa Maria Capua Vetere, un’inchiesta tsunami seguita «con preoccupazione» dal ministro della Giustizia Marta Cartabia. Le 52 misure cautelari emesse dal gip ed eseguite ieri dai carabinieri hanno decapitato la polizia penitenziaria in Campania. Tra i vertici colpiti: il provveditore delle carceri Antonio Fullone, l’ex comandante dell’istituto di pena Gaetano Manganelli, il comandante del Nucleo traduzioni e piantonamenti Pasquale Colucci. Ma non solo: 8 agenti sono finiti in cella, 16 ai domiciliari, e in tutto sono oltre 110 le persone indagate (la Procura aveva chiesto provvedimenti per 99). Numeri da record se si considera che sono tutti uomini dello Stato.Un anno fa, quando furono notificati 44 avvisi di garanzia, le famiglie dei carcerati festeggiarono sparando fuochi d’artificio (una consuetudine per i camorristi), stavolta a scendere in strada sono stati gli agenti che non hanno trattenuto l’indignazione per quelli che un loro sindacato ha definito «provvedimenti abnormi».Impressionanti le accuse: molteplici torture, maltrattamenti pluriaggravati, violenza privata, lesioni personali, falso in atto pubblico, calunnia, favoreggiamento, frode processuale, depistaggio. Un quadro che il gip ha sintetizzato in due parole: «Orribile mattanza».La vicenda ha origine nella rivolta scoppiata il 6 aprile 2020, quando la notizia di un caso di Covid spinse circa 150 detenuti ad affrontare i secondini e poi a occupare sei sezioni del carcere di Santa Maria Capua Vetere; l’emergenza rientrò nella notte grazie agli sforzi diplomatici della direzione dell’istituto. Ma qualche giorno dopo giunge la decisione di effettuare un controllo su vasta scala: 238 agenti (un centinaio giunti da Secondigliano) entrano nella struttura casertana e qui, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe avuto luogo una vera e propria ritorsione a base di pestaggi organizzati.Nel fascicolo ci sono anche i messaggi trovati nelle chat di alcuni agenti: «Domani chiave e piccone in mano, li abbattiamo come i vitelli...» si legge. Mentre un altro agente in una delle chat acquisite (e come emerge dalle immagini della videosorveglianza) definisce “un inferno” quello scatenato dentro le celle. E poi le tante dichiarazioni delle vittime sulle presunte violenze subite: «Mi hanno costretto a spogliarmi (...) mi sferrava colpi al viso e all’addome e nelle parti intime mentre ero nudo, un altro li incitava», il racconto di un detenuto ai carabinieri. Ad altri carcerati, definiti «barbudos», sarebbero stati tagliati barba e capelli.Ieri, mentre i vertici del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) rinnovavano «la fiducia al Corpo della polizia penitenziaria», il sindacato Sappe ha espresso le sue perplessità sulle misure cautelari «considerato che dopo oltre un anno di indagini mancano i presupposti per i provvedimenti, ossia l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato e il pericolo di fuga». Anche il garante dei detenuti Samuele Ciambriello (che è stato tra coloro che hanno fatto aprire l’indagine) ieri è tornato sulla vicenda: «Le mele marce vanno individuate e messe in condizione di non screditare più il Corpo cui appartengono. Più volte ho manifestato apprezzamento per il lavoro svolto dagli agenti di polizia penitenziaria. E mi sento di invitare l’opinione pubblica a non cedere alla tentazione di imbastire processi sommari prima che i fatti realmente accaduti vengano effettivamente accertati». —