la Repubblica, 28 giugno 2021
Boxe, l’Italia è delle campionesse
Lo strano caso della boxe. Grandi numeri e un risultato eccezionale delle ragazze: Irma Testa, Angela Carini, Giordana Sorrentino e Rebecca Nicoli, le 4 dame che andranno a Tokyo. Ma anche lo zero della squadra maschile, sempre presente dal 1920 ad Anversa (ultima spiaggia un ripescaggio da ranking di Simone Cavallaro anche se è molto difficile) e una sofferenza radicata in campo professionistico. Dati alla mano, un paradosso: 10.000 incontri all’anno al netto della pandemia e 970 palestre affiliate, nel 2004 erano 425. E ancora: 7.317 dilettanti e 320 professionisti ai quali aggiungere 25.104 amatori, questi ultimi stregati dall’appeal del ring ma che ovviamente non danno contributi in termini i risultati.
Anche la fascia sociale si è allargata larga. La figura romanzesca del pugile che emerge dalle sacche di povertà è affiancata da atleti di impatto mediatico come Daniele Scardina (star dei social, in tv a Ballando con le stelle ) o di estrazione borghese come Guido Vianello, peso massimo che ha intrapreso l’avventura americana. Ma allora il problema? «Manca la mentalità. Per venti anni le linee federali hanno puntato solo sul dilettantismo, mentre per il professionismo erano solo tasse. La federazione di fatto “invitava” a restare dilettanti, ma così facendo non permetteva il ricambio dopo il ciclo olimpico uccidendo i sogni dei ragazzi che si vedevano chiusa la strada sempre dagli stessi. Eppure i Piccirillo, i fratelli Branco, i Fragomeni hanno dimostrato che si potevano fare grandi cose anche tra i Pro», analizza Alessandro Cherchi, uno degli organizzatori di punta in Italia. «Le cose però stanno cambiando. Il nuovo presidente federale D’Ambrosi ci ascolta, dà contributi economici, cura il passaggio tra i Pro con i tempi giusti. Inoltre la collaborazione con Dazn è un rilancio importante dal punto di vista televisivo».
Il suo collega romano, Davide Buccioni, quando organizza nella Capitale e dintorni garantisce sempre l’esaurito. Michael Magnesi, uno dei suoi pugili, è attualmente l’unico italiano a detenere un mondiale tra i professionisti: «Ma per organizzare una riunione è una battaglia quotidiana. Mi sostiene la passione e solo grazie al grande seguito che ho riesco a far quadrare, sia pur parzialmente, i conti». La ricetta per crescere secondo Buccioni è alla base: «La palestra è il vero vivaio, se tu in serie A importi solo giocatori stranieri e non lavori sui tuoi giovani, arriva un momento in cui ti trovi senza risorse. Secondo me è stato dato troppo spazio ai gruppi sportivi e poco alle singole palestre, ma così facendo si sta distruggendo l’anima popolare di questo sport».
Quell’anima popolare che si respira alla Quadraro Gym, un garage abbandonato diventato punto di aggregazione di un quartiere periferico di Roma: «Ho trovato un compromesso – ci spiega il maestro Silvano Setaro –. Gli amatori qui sono l’80% e poi c’è un 20% di agonisti, senza contare i tanti bambini che vengono a divertirsi e sono uno spettacolo». Era bambino, Armando Casamonica quando entrò nella palestra della quale ne è il fiore all’occhiello: «Penso proprio che lui alle Olimpiadi ci sarebbe arrivato ma ha scelto di passare professionista prima». Popolo diverso alla palestra Fiermonte, ai Parioli nel cuore della Roma bene. Nome importante nella boxe: la gestisce Stefano, pro nipote di quell’Enzo campione nella Roma degli anni Trenta ma che poi, una volta partito per l’avventura americana, sposò una vedova (il marito era il più ricco tra i caduti del Titanic) ed al ring sostituì cronache mondane e set cinematografici. «Nella mia palestra il 95% sono amatori e il 5 agonisti. In passato ho avuto parecchi ragazzi che hanno lavorato duro, erano convinti di intraprendere la strada del pugilato ma dopo il primo match hanno lasciato». Già, perché come ama dire Mike Tyson, il ring “è il posto più bello del mondo, sai sempre quello che ti può capitare». È bello, solo che non è per tutti.