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 2021  giugno 28 Lunedì calendario

Sui diritti

Ormai basta la parola e subito scatta il freno d’emergenza, come nei treni. Questo tema è «divisivo» e quindi rimandato a data da destinarsi. Rispunta dalle nebbie della politica, inattesa come una lucciola, una definizione che invece di illuminare l’azione di un governo ne spegne gli orizzonti. «Divisivo» è aggettivo solo in apparenza morbido, ma ormai viene usato come arma impropria per inibire qualsiasi passo in avanti, specialmente sul tema dei diritti civili. Tutto può essere «divisivo» e molto lo sta diventando.
Il caso forse più clamoroso è il disegno di legge Zan, pensato per tutelare, oltre ai disabili di cui nessuno parla ma che sono parte integrante del testo, la libertà di esistere della comunità omo-lesbo-trans, impedendo che chi non ama «secondo natura» o «legge di Dio» possa patire conseguenze o sofferenze insopportabili, come il diciottenne di Torino, ultimo caso in cronaca, che pare essersi buttato sotto un treno dopo lungo linciaggio perché era gay. Passata alla Camera nel novembre scorso, la proposta Zan è impigliata nel limbo che si è creato al Senato molto prima dei rilievi vaticani e il perché lo ha spiegato il decano Silvio Berlusconi: «Dobbiamo affrontare grandi riforme, e non provvedimenti divisivi come quello». Anche gli indiscutibili successi contro la pandemia rischiano, con lo spettro della variante Delta, di riaprire fronti dati per chiusi tra fautori dell’avanti tutta (no mascherine e sì discoteche, a prescindere) e rappresentanti più cauti del partito della responsabilità.
Ogni occasione, insomma, sembra diventare terreno di coltura per il virus del distinguo, del non adesso, del non è il caso, del benaltrismo delle priorità. Persino la Nazionale di Mancini ne è stata lambita. Non nella vittoria, festeggiata dopo l’aspro due a uno contro l’Austria con caroselli notturni a cui hanno partecipato anche tanti extracomunitari, segno di un’integrazione di cuore che oltrepassa leggi annunciate e mai compiute. È il prima della partita che ha creato una disunità d’Italia, inedita per questo genere di campo. Da un lato, quelli che il calcio è una bolla (e come tale da preservare da qualsiasi contagio con la realtà), rafforzati dal soccorso di chi ancora pensa che non bisogna piegarsi mai, fosse anche una rotula, prova di debolezza inaccettabile. Dall’altro, i sostenitori del mettere il ginocchio a terra come segno di rispetto per chi è vittima, a cominciare dal razzismo. I nostri azzurri hanno optato per la posizione eretta, capitan Chiellini ha fatto un po’ di confusione promettendo che «combatteremo il nazismo in altro modo»; un altro capitano, Matteo Salvini, ha elogiato la scelta con un bel «viva la libertà», confortato da un ex capitano come Matteo Renzi che inneggiando a una «Nazionale libera dai segretari di partito» ha rifilato uno sgambetto al segretario del suo ex partito, Enrico Letta, che aveva osato auspicare un gesto simbolico dei calciatori come buon esempio ai milioni di cittadini che in questi giorni li seguono come oracoli.
Motivi per un momento di raccoglimento, importa poco in che posa, ne avremmo parecchi. La fine di Camara Fantamadi, per esempio, ucciso da un infarto a 27 anni mentre tornava dal quarto giorno da zappatore senza contratto in un campo del Brindisino, una ventina di euro per 12 ore di lavoro in una fornace a cielo aperto, colletta in corso per riportare la salma in Mali, croce più recente di una schiera di morti schiave che comprende anche italiane e italiani. Oppure il biglietto che Patrick Zaki, l’egiziano adottato dall’Università di Bologna, ha mandato dal carcere del Cairo dove aspetta da 506 giorni di sapere che ci fa in quell’inferno: «Forza Italia per gli Europei», con sotto la faccina col sorriso disegnata a biro da lui. Il nostro Parlamento ha deciso a maggioranza assoluta di concedergli la cittadinanza italiana per provare a tirarlo fuori da lì, ma l’argomento deve essere piuttosto delicato rispetto ai nostri rapporti commerciali con l’Egitto, ragion per cui passano i mesi (sono già due) ed è come se quel voto fosse stato inghiottito nel buco nero delle cose «divisive», e come tali accantonabili. Stesso destino per una delle questioni più drammatiche e cruciali del nostro tempo, e anche del nostro continente: la fuga di popoli da guerre, persecuzioni, povertà, siccità. Ma siccome non esiste parola più divisiva di «migrante», l’Europa ha pensato bene di nascondere l’emergenza sotto un tappeto di vergogna, aumentando i finanziamenti a predoni e dittatori dei Paesi che fanno da diga alla marea umana (il famigerato «modello Turchia») e facendo finta che il problema dei ricollocamenti e dei corridoi umanitari sia rinviabile a un prossimo vertice, in ottobre forse o magari anche più in là. In una temperie come questa, il cavallo di battaglia del nuovo Pd, ovvero lo ius soli, è rientrato nel chiuso delle scuderie senza neanche un battito di zoccoli.
Il sospetto, qualcosa di più di un sospetto, è che siano cominciate le piccole grandi manovre in vista delle elezioni comunali e regionali d’autunno. Stando ai sondaggi, l’assottigliarsi delle distanze tra i partiti maggiori spinge ciascuno a intensificare la cura del proprio orto di consensi e quindi ad accentuare posizioni distintive, che immediatamente diventano divisive e che comportano un blocco del sistema, soprattutto su terreni delicati come quelli della dignità dell’individuo. Un governo largo (anche troppo largo) di ripartenza nazionale deve decidere, oltre a come impiegare al meglio i fondi in arrivo, che tipo di Paese uscirà da questo gran lavorio di rifondazione. E con quanti diritti in più, che non sono un dono dall’alto ma una conquista che rende più forte e credibile una democrazia. Nella sua visita a Papa Francesco, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha appena fatto due riflessioni non trascurabili. La prima è che la ripresa dopo la tremenda stagione del Covid avrà successo se ridurrà le disuguaglianze. La seconda è che i diritti delle persone, a partire dai più deboli e vulnerabili, sono la misura di tutte le cose.
Venerdì sera la nostra Nazionale tornerà in campo per i quarti di finale. La partita con l’Austria è stata vista da più di 13 milioni di spettatori, il 61 per cento di quanti avevano una tv accesa. Una platea da festival di Sanremo, destinata a crescere ancora. Giocarsela e basta per non essere divisivi è di certo un’opzione. Ne esistono anche altre, volendo, liberamente, ci mancherebbe. L’importante è vincere, ma partecipare alla vita del mondo intorno non è comunque vietato. Sapendo che i ragazzini, soprattutto loro, staranno a guardare.