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 2021  giugno 27 Domenica calendario

Ritratto di Richard Ford

Ho conosciuto Richard Ford alla fine degli anni Novanta per una delle più strane interviste che mi siano mai capitate, perché sin dalle prime battute è stato lui farmi delle domande, e non viceversa. L’ha fatto con assoluto rispetto: era intrigato dal fatto che mi dichiarassi credente e in particolare cattolico, e infatti, qualche anno dopo, ha voluto partecipare a un mio libro sul rapporto tra gli scrittori e la fede. Anche in quell’occasione ha continuato lui a fare le domande, dicendomi, quasi all’improvviso, che lui, ateo, trova «meraviglioso» un passaggio della lettera di San Paolo agli Ebrei: «La fede è fondamento delle cose che si sperano, e prova di quelle che non si vedono». Ha raggiunto 77 anni, ma è ancora un uomo prestante e robusto. Sa essere brusco, tagliente e spietato, ma mai banale, e ha un dono raro: sa ascoltare con attenzione il proprio interlocutore. È nato a Jackson, nel Mississippi, da un commesso viaggiatore di nome Parker, il quale morì di infarto quando aveva quindici anni e lo lasciò solo con la madre Edna, che lui descrive così: «La sua prima ambizione era quella di essere innamorata di mio padre, la seconda di fare la madre a tempo pieno».
Fu allevato dal nonno, un ex pugile che viveva nell’Arkansas, ed entrò in contatto con la letteratura: la sua vicina di casa era Eudora Welty, di cui in seguito curerà un’antologia. Ha iniziato a lavorare giovanissimo nella costruzione delle ferrovie, e questo già racconta molto del suo carattere: l’amore per l’azione, la predilezione per tutto ciò che si può fare all’aria aperta e il rifiuto di farsi travolgere dal dolore. Ha sempre contestato la battuta di Francis Scott Fitzgerald secondo cui non c’è un secondo atto nelle vite americane e dei grandi scrittori di quella generazione ha sempre preferito Faulkner, al quale lo lega provenienza dal Sud, o Hemingway. A quest’ultimo è simile in molti dei suoi atteggiamenti, a cominciare dalla passione per le battute di caccia. Pochi sanno che si è arruolato nei marine, ma con grande disdetta venne rimandato a casa dopo aver contratto l’epatite: e sanno ancora in meno che fece domanda per entrare nella CIA. Sebbene fosse stato accettato, si rese conto che avrebbe in realtà preferito dedicarsi alla letteratura e allo studio: all’università ha conosciuto Kristina Hensley, che è diventata sua moglie.
Un’altra prova di come abbia trasformato una difficoltà in opportunità è il suo rapporto con la dislessia, della quale ha sofferto, in forma leggera, sin da bambino: la conoscenza e la passione per la letteratura nascono dal fatto di essere stato costretto a leggere con grande lentezza e attenzione, e oggi riflette: «È la lettura a portare molti scrittori a scrivere».
Dopo un paio di romanzi ben accolti dalla critica ma con scarso successo di pubblico, ha cominciato a scrivere per Sport Illustrated: è l’ambiente che è diventato lo sfondo per Sportwriter, il suo primo grandissimo successo. Il libro ha vinto per la prima volta nella letteratura americana sia il Pulitzer che il Pen/Faulkner Award, ed è in quella occasione che è stato coniato il termine di realismo sporco. Da quel momento è diventato un classico vivente della letteratura mondiale, e ha continuato a ricevere critiche osannanti anche quando si è cimentato nei racconti.
A conoscerlo, fa impressione la forte energia vitale e la volontà, ma ancor di più la necessità di essere perennemente in azione: è il periodo in cui decide di vivere tra il quartiere francese di New Orleans e il Wyoming, dove si diletta in lunghe battute di caccia: conoscendone la passione, il suo editore Feltrinelli organizza analoghe battute in occasione di ogni sua venuta in Italia. La sua irresistibile ascesa letteraria è stata caratterizzata anche da gravi incidenti e momenti di pessimo gusto: quando Alice Hoffman stroncò Sportwriter le fece recapitare a casa un suo libro squarciato da colpi di pistola. Andò peggio a Colson Whitehead, al quale Ford sputò in faccia dopo che aveva stroncato il suo Una moltitudine di peccati. In un’intervista pubblicata su Esquire 13 anni dopo, Ford ha dichiarato: «Non ho cambiato opinione su Mr. Whitehead, sulla sua recensione e sulla mia reazione».
Qualunque opinione si possa avere sull’uomo, non c’è dubbio che si tratta di uno dei grandi scrittori contemporanei, nonché uno degli autori che meglio esalta lo stile e l’uso del linguaggio. Sin da giovane ha cercato nell’arte redenzione al caos e all’ingiustizia del mondo, ma nonostante si dichiari ateo, ha sempre avuto un interesse sincero per religione. È stato educato secondo i dettami del culto presbiteriano, ma poi racconta: «Avevo 21 anni e stavo andando in chiesa come ogni domenica, quando all’improvviso mi sono chiesto quale fosse il senso: ho sentito un moto di disillusione e ribellione. Quel momento, che giudico tuttora come la fine di una frustrazione, ha coinciso con la decisione di diventare uno scrittore».
Quando mi raccontò questo momento fondamentale della sua esistenza, gli chiesi se la scrittura si potesse considerare la sua religione. «Assolutamente sì, e voglio sottolineare che le due scelte sono strettamente collegate. La mia religione e il mio motivo di vita è nell’arte, e voglio citarti una frase di Wallace Stevens che tengo sempre a mente: nei periodi in cui il credo latita, il compito del poeta provvede a soddisfare la mia fede in misura e stile». Man mano che parlavamo, mi resi conto che l’argomento è fonte continua di riflessione e in uno dei nostri ultimi incontri gli chiesi cosa pensasse della religione come oppio dei popoli di Marx. Ci ha pensato a lungo: «Mi limito a non commentarlo: mi va bene che sia stata detta, ma non ne faccio a mia volta una religione, e ritengo che sia giusto anche affermare qualcosa che vada nella direzione opposta».