Il Sole 24 Ore, 27 giugno 2021
Lunga intervista all’ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina
«I finanziamenti europei e i piani di rilancio dell’economia per superare la crisi provocata dall’emergenza sanitaria rappresentano per l’Europa una occasione unica: restare il terzo blocco al vertice della geopolitica internazionale insieme agli Stati Uniti e alla Cina. Se non andrà così, l’Unione europea sarà destinata ad avere un ruolo sempre più marginale. Il finale di partita sarebbe già scritto». Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, ha saputo guidare la banca ai vertici del sistema bancario europeo, permettendo al gruppo di essere un esempio di come passare dalle parole ai fatti raccogliendo l’invito della Banca centrale europea di andare verso acquisizioni e concentrazioni. Ora la sfida è contribuire alla grande svolta necessaria, spiega, perché «l’emergenza causata dalla pandemia offre all’Europa l’occasione per tornare protagonista». Occorre essere consapevoli, aggiunge, che non ci sono alternative: «La posta in gioco è ritrovare lo slancio per essere un polo di dimensioni globali che tenga testa a Stati Uniti e Cina. In caso contrario prevarranno le logiche nazionali ma neppure i Paesi più forti, come Germania e Francia, ce la faranno a restare competitivi».
Quale ruolo avrà l’Italia?
Decisivo, in un senso o nell’altro: rappresentiamo uno snodo chiave nel determinare un effettivo successo del programma Next generation Eu. L’Italia ha tanto terreno da recuperare ma un futuro dell’Europa senza l’Italia, Paese fondatore, non è immaginabile.
Siamo in ritardo?
Negli anni tra il 2010 e il 2019 la crescita è stata deludente: la media annua è stata pari allo 0,4%. Gli altri sono cresciuti molto di più. La Germania, per esempio, ha avuto un tasso di crescita medio dell’1,8%. Se avessimo avuto il trend di crescita tedesco degli ultimi 10 anni oggi avremmo 130 miliardi di euro d’investimenti in più all’anno. E questo ha penalizzato crescita del prodotto interno lordo e occupazione. In più c’è un gap enorme da colmare dovuto alle mancate riforme, di cui si parla da troppo tempo ma con risultati insufficienti. Adesso, grazie al Next generation Eu, lo strumento dei finanziamenti europei per la ripresa, c’è una opportunità speciale da cogliere cancellando errori e ritardi.
È possibile farcela?
Non dobbiamo dubitarne. Le risorse disponibili sono ingenti: sette volte i fondi stanziati dal Piano Marshall (lanciato nel 1947 dagli americani per finanziare la ripresa dopo la seconda guerra mondiale e durato quattro anni, ndr). In più, per quanto riguarda l’Italia, abbiamo leve straordinarie da azionare: le risorse parcheggiate sui conti correnti delle imprese e delle famiglie che, se trasformate almeno parzialmente in investimenti e consumi, possono sommarsi ai finanziamenti europei, moltiplicandone l’impatto.
Può fornire qualche numero?
Dal 2012 l’ammontare dei depositi delle imprese presso le banche è aumentato di 225 miliardi di euro, di cui 90 miliardi solo nell’ultimo anno, durante l’emergenza sanitaria. Nel complesso le risorse parcheggiate dalle aziende nei conti correnti bancari risultano intorno a 400 miliardi. Ugualmente le famiglie hanno risparmi imponenti: 1 trilione e 243 miliardi, di cui quasi un centinaio messi da parte nell’ultimo anno. Quindi, tra imprese e famiglie, nell’anno dell’emergenza sanitaria sono stati accantonati 180 miliardi, di cui 54 miliardi sono presso Intesa Sanpaolo. Sui conti delle nostre filiali girano 30 miliardi al giorno. Già solo sommando i 240 miliardi del PNRR ai 180 miliardi risparmiati dagli italiani durante il Covid si va al raddoppio dei fondi spendibili. Siamo in una fase particolare: tanta liquidità, disponibile per il cambiamento. Adesso o mai più.
Come spiega il parcheggio sui conti di risorse così ingenti?
Di sicuro hanno pesato l’incertezza, un quadro politico instabile e, più recentemente, la prudenza come forte reazione alla pandemia.
È possibile sdoganarne almeno una parte?
Occorre che imprenditori e famiglie ritrovino la fiducia, presupposto indispensabile per rimettere in moto la macchina delle nuove iniziative. Le famiglie hanno un ruolo decisivo. Sia tornando a consumare, e anche in questo caso la fiducia è fattore necessario, sia indirizzando parte del risparmio gestito verso l’economia reale.
Che ruolo intende avere Intesa Sanpaolo?
Stiamo mettendo e metteremo la forza della banca a disposizione per accelerare la ripartenza dell’economia e delle imprese. Da qui al 2026 saremo in grado di attivare erogazioni a medio e lungo termine per oltre 410 miliardi di euro a favore del mondo produttivo e delle famiglie italiane. Questi fondi si aggiungeranno a quelli distribuiti dall’Europa e dal governo.
Siamo messi meglio di altri Paesi?
Noi abbiamo munizioni che altri non hanno: il risparmio degli italiani e il dinamismo delle nostre imprese. L’occasione per dare impulso all’economia reale ed essere più attrattivi per gli investimenti dall’estero è davvero unica, in questi termini non capiterà di nuovo.
Qual è il rischio?
Dobbiamo essere consapevoli che lo sviluppo economico è il solo modo per rendere sostenibile il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, arrivato a un livello vertiginoso: il 160 per cento. Dimostriamo tutti di avere a cuore il futuro dell’Italia.
Il governo Draghi è frutto di un miracolo: la convivenza tra partiti di segno opposto, dal Pd e da Leu alla Lega e Forza Italia. Reggerà nel tempo?
È difficile immaginare chi, al di là delle schermaglie e delle risse verbali, si prenderà la responsabilità di far cadere questo governo mentre sta attuando i piani per l’utilizzo dei fondi europei. La presenza di Mario Draghi alla presidenza del consiglio e di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica è una congiuntura ideale per impostare le riforme in grado di cambiare davvero il Paese, consentendo la sostenibilità del debito pubblico. La classe politica ha davvero una grande responsabilità, ne risponde di fronte all’intero Paese.
Il Presidente della Repubblica è a fine mandato e ha detto che intende uscire di scena. Come evitarlo?
Intanto sono decisivi i mesi che abbiamo di fronte. Per il futuro, come italiano mi auguro che due personalità come Mattarella e Draghi possano rimanere il più a lungo possibile.
Crede possibile la convivenza tra forze politiche così diverse?
Vanno trovati punti d’incontro e di compromesso, per il bene dell’Italia. Le priorità sono lotta alla povertà e alla disoccupazione. Questo è il momento di fare le riforme per attivare i motori della crescita e, in parallelo, disegnare una programmazione economica e sociale. Non vedo alternative.
In che modo?
Mettendo la macchina dello Stato, che ha il compito d’indirizzare e realizzare impegni di spesa imponenti, pari a oltre un terzo del prodotto interno lordo, in condizione di poterlo fare in maniera adeguata.
Si parla di riforme da 30 anni ma le posizioni sono lontane, spesso agli opposti. In materie spinose e complesse come la giustizia sarà possibile conciliare diavolo e acqua santa?
Abbiamo preso impegni precisi, e vincolanti, con l’Europa. Abbiamo un ruolo che ci assegna una grande responsabilità a livello internazionale.
I fondi disponibili sono imponenti. Riusciremo a spenderli bene e nei tempi previsti?
Visione strategica e progetti ci sono. E ci sono anche professionalità adeguate. Gli investimenti si fanno e funzionano in tutto il mondo. Peraltro, anche da noi. Aziende come Intesa Sanpaolo, Eni, Enel, soltanto per citarne alcune, sono abituate a realizzare iniziative complesse. Noi in banca abbiamo costituito strutture organizzative, finalizzate al sostegno delle filiere maggiormente interessate dal PNRR. I controlli europei garantiranno una accelerazione formidabile dei progetti, perché la distribuzione dei fondi ha come cardine la verifica dello stato di avanzamento dei lavori. L’intera macchina organizzativa deve dimostrare di funzionare efficacemente. La riforma della Pubblica amministrazione aiuterà.
C’è chi sostiene che i progetti del Recovery plan presentato in Europa gravitano in buona parte su Roma e che il pendolo del potere si sposterà da Milano e dal Nord verso la capitale. Lei è d’accordo?
I centri decisionali politici e strategici del Paese non possono che essere coordinati dove ha sede il Governo. Ma questo non significa che aree di attività decisive non possano gravitare su altre città. Così è, ad esempio, per finanza, ricerca, intelligenza artificiale. E così resterà. È indubbio che le sedi Intesa Sanpaolo rimarranno tra Milano e Torino, così come siamo presenti in tutti i territori. Ognuno deve contribuire dai luoghi in cui ha i centri di comando e di regia delle attività.
Il sistema bancario italiano è pronto?
Ha fatto molti progressi e oggi non ha molto da invidiare a quelli di altri Paesi europei. Il processo di concentrazione è andato molto avanti, gli npl (crediti in sofferenza, ndr) sono sotto controllo, i derivati risultano di gran lunga inferiori a quelli in pancia di grandi banche europee. Mediamente i gruppi bancari italiani sono tra quelli in condizioni migliori. Intesa Sanpaolo è stata la prima a muoversi nella direzione delle concentrazioni bancarie, auspicata dalla Banca centrale europea, chiudendo con successo l’acquisto di Ubi Banca. Altri. come la Germania, sono rimasti indietro. Oggi, in Europa, le banche più dinamiche sono quelle italiane e spagnole. Per l’Italia auspico ulteriori concentrazioni per arrivare alla creazione di almeno tre poli.
Ci sono interventi che è opportuno fare?
Il governo potrebbe valutare l’allungamento delle garanzie della Sace per i finanziamenti a lungo termine destinati alle imprese e la loro estensione. Portare la scadenza delle coperture a 20 anni permetterebbe alle aziende in difficoltà di avere tempi adeguati per riorganizzarsi e ripartire. Se una parte delle imprese potrebbe non farcela, è importarne salvaguardarne il più possibile. Ci sono imprese in difficoltà gravi ma ancora vitali che, adeguatamente supportate, possono ritrovare la strada della ripresa. I vantaggi sarebbero per tutti: per gli imprenditori, per i dipendenti, per le famiglie, per il sistema nel suo complesso. Più in generale va rimandato il ritorno ai meccanismi tradizionali del mercato, compreso quello del lavoro. Dalla crisi e dall’emergenza economica si esce aiutando i più deboli, quelli che faticano a tenere il passo ma che possono riprendersi. Le aziende, e i lavoratori, rappresentano il cuore del sistema e il motore della ripresa. Il rischio è la tenuta sociale del Paese.
Come vi siete organizzati per sostenerli?
Abbiamo mappato tutte le aziende di filiera individuando le società capofila, a cui assicurare finanziamenti adeguati. Sulle filiere e i distretti ci muoviamo in collaborazione anche con la Confindustria. Nel complesso, da qui al 2026, abbiamo destinato 152 miliardi a famiglie, comunità e per l’inclusione sociale, compresi sostegni a persone fisiche o piccole aziende. Le risorse per digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura ammontano a 109 miliardi. Seguono 76 miliardi per green, economia circolare e transizione ecologica, 58 miliardi per infrastrutture, trasporti e rigenerazione urbana, 19 miliardi per salute, farmaceutica, istruzione e ricerca. In particolare, i fondi che stiamo mettendo e metteremo a disposizione delle aziende sono 270 miliardi.
In che tempi?
Per sostenere la prima fase del piano di ripresa e resilienza sono pronti 60 miliardi entro l’anno. Sono orgoglioso della macchina organizzativa che abbiamo creato, grazie alle nostre persone, in grado di rappresentare un fattore decisivo per la crescita del Paese. Ora è pronta a partire, agganciata al piano presentato da Draghi in Europa.
Con quali effetti?
Ritengo che potrà contribuire a una accelerazione rispetto alla previsione di crescita del prodotto interno lordo presentata dal governo.
La macchina organizzativa è alimentata da un piano. Può sintetizzarne e descriverne le caratteristiche?
Gli elementi distintivi sono quattro: finanza d’impatto per cambiamenti strutturali, giovani, donne, interventi per il Mezzogiorno.
Cosa intende per finanza d’impatto?
Rappresenta la vera discontinuità, ne sono sempre più consapevole anche come responsabile della task force organizzata per intervenire su finanza e infrastrutture dal B20 (il Business summit internazionale, guidato da Confindustria in vista del G20 e presieduto dall’imprenditrice Emma Marcegaglia, che ha l’obiettivo di formulare raccomandazioni di politica industriale indirizzate alla presidenza di turno del G20, ndr). I progetti innovativi, e in discontinuità con il passato, vanno dalla rigenerazione urbana alla ristrutturazione di scuole e ospedali e alla inclusione sociale. Anche in questo caso le risorse disponibili sono importanti e permettono finanziamenti di progetti ambiziosi, di rottura con il passato. E il contributo di finanziamenti privati può diventare significativo. Nell’ultimo anno, a livello internazionale, i fondi privati per investimenti nelle infrastrutture hanno raccolto 100 miliardi di dollari, mentre nel decennio precedente erano stati solo 34 miliardi. Questo significa che ci sono grandi opportunità, anche per l’Italia.
Perché l’attenzione
ai giovani?
La pandemia ha accentuato la situazione di difficoltà dei nostri giovani che, al contrario, vanno considerati tra le priorità dell’agenda politica, insieme alle misure per favorire la crescita demografica. Intesa Sanpaolo può dare un contributo significativo. Ad esempio, finanziando gli studenti universitari che lo meritano senza garanzie, a tassi contenuti e tempi lunghi per la restituzione dei crediti. Ma anche con programmi per la formazione e l’avviamento al lavoro. La nostra banca, grazie alla collaborazione straordinaria con i sindacati, ha definito il progetto più grande per assunzioni di giovani. Nei prossimi anni ne permetterà l’entrata di 3.500 nel gruppo.
E le donne?
La parità di genere è una priorità. L’occupazione femminile va incoraggiata e sostenuta, può dare un contributo fondamentale alla ripresa. Serve passare dalle dichiarazioni d’intenti ai fatti creando condizioni adeguate: asili nido, aiuti per le maternità, finanziamenti a lungo termine e perfino a fondo perduto. Abbiamo programmi articolati per il sostegno alla formazione e allo sviluppo imprenditoriale al femminile, favorendo assunzioni, promozioni a ruoli di responsabilità, nomine a dirigente.
L’Italia del Sud resterà fanalino di coda?
Intanto va sgombrato il campo da preconcetti. Il Mezzogiorno conta più di quanto si crede. Se fosse uno Stato dell’Unione europea sarebbe all’ottavo posto nella classifica dei 27 Paesi europei per presenza d’imprese manifatturiere, con un ruolo importante nelle catene del valore su scala perfino europea. E si può fare molto di più, anche per le opportunità legate alla nuova centralità geopolitica nel Mediterraneo. Il Sud è una piattaforma logistica ideale, dai suoi porti passa il 40 per cento del traffico portuale italiano, nell’energia l’Italia è ponte naturale tra Africa e l’Europa. Nel Sud non c’è soltanto povertà, ma distretti d’avanguardia nell’innovazione e nelle tecnologie avanzate. Vi hanno sede aziende di prim’ordine. Nei loro settori di attività sono campioni del mondo. Altre realtà come le start up sono una conferma. Negli ultimi due, tre anni, come Intesa Sanpaolo, ne abbiamo finanziato un migliaio. Continueremo a farlo, così come stiamo finanziando un progetto giovani per aiutarli a trovare lavoro nel Mezzogiorno, per farli restare lì. Nei finanziamenti delle imprese fatti al Sud abbiamo una quota di mercato del 24 per cento e del 32 per cento nei mutui immobiliari. Una presenza importante che intendiamo consolidare. Sono questi gli impegni e le risorse che mettiamo a disposizione per contribuire al rilancio e alla crescita del Paese.