La Stampa, 27 giugno 2021
Uccise il marito ma la Francia la perdona
Ne era convinta Valérie Bacot: sarebbe ritornata in carcere. Rassegnata, aveva pensato a tutto: gli studi futuri già pagati per il figlio più piccolo, che vuole diventare addestratore di cani. Per Kevin, che ha già 21 anni e fa il meccanico e deve traslocare a luglio, aveva trovato un nuovo alloggio. Ma Valérie, che il 13 aprile 2016, all’età di 35 anni, uccise con una pallottola nella nuca il marito, che ne aveva 61, per poi occultare il cadavere, ritrovato dopo un anno e mezzo in un bosco vicino a casa sua, è ormai una donna libera. Dopo la sentenza, venerdì sera, è uscita traballante e incredula dal tribunale di Chalon-sur-Saône, sorretta dai quattro figli, mentre una folla di persone, per lo più degli sconosciuti, applaudiva, con le lacrime agli occhi. Valérie, suo malgrado, è diventata un simbolo.
Tutto è successo in un paesino, La Clayette, poco più di 1600 anime, tra vigneti e antiche case di pietra, in Borgogna, la «douce France». Ma la vita di Valérie è stata un inferno. La madre era violenta e alcolizzata, il padre assente. Veniva abusata sessualmente dal fratello maggiore, che le impose un rapporto orale già a sei anni. Poi la mamma, rimasta da sola, portò in casa il nuovo compagno, Daniel Polette, per tutti era «Dany». «Violento», «perverso», «terrificante» l’hanno descritto diversi testimoni durante il processo. Cominciò a violentare Valérie a dodici anni. Le sorelle di Dany lo denunciarono e fu condannato a quattro anni di carcere. Ne uscirà due anni e mezzo dopo. E ritornerà da Valérie, allora diciassettenne, e dalla madre. Tutto ricomincerà come prima.
Anzi, lei rimase incinta e lui se la portò via. La sposò ed ebbero altri tre figli. Nel frattempo Dany iniziò a sfruttarla come prostituta. Valérie diventò l’escort Adeline. Esercitava in un furgone (per 14 anni), predisposto dal marito, che guardava tutto da un buco in un pannello e alla moglie ordinava con gli auricolari come usare il proprio corpo. Un giorno Karline, la figlia, disse alla mamma che papà gli aveva detto cose strane. Valérie pensò che avrebbe cominciato anche con lei. Poi, all’indomani, lui voleva imporle un rapporto anale con un cliente, ma lei non volle. E quell’uomo se ne andò arrabbiato, lasciandola lì, nuda e sanguinante. Dany le disse: «Sei una buona a nulla». Valérie pensò alla sua vita, a Karline che avrebbe fatto la stessa. Nel furgone tenevano un revolver, nel caso ci fosse da difendersi da uno svitato. Dany era al posto di guida. Bastò afferrarlo e sparare da dietro.
Poi Valérie lo confessò ai figli e coi più grandi andò a sotterrare il cadavere. Dissero che Dany era sparito, ma la verità venne fuori. I giudici non hanno assolto la donna, ma l’hanno condannata a 4 anni, di cui 3 con la condizionale. E lei uno in prigione l’ha già fatto. Insomma, è libera. Eppure rischiava l’ergastolo, non ci può credere. Il pubblico ministero le ha chiesto in aula perché non fosse mai andata al commissariato e lei non sapeva come spiegarlo, che era sotto l’influenza di quello, provava perfino dei sensi di colpa. I giudici hanno tenuto conto della «sindrome della donna maltrattata» e del «livello elevato di alterazione del suo discernimento a causa dei molteplici traumi». Valérie oggi lavora in un’azienda e tira su da sola i figli. Sandrine Dubois, ex vicina di quella casa degli orrori, è presidente del comitato di sostegno alla donna. «Sembrava vulnerabile, stava sempre in disparte, in compagnia dei suoi figli, era diversa. Ma faccio parte della società che a Valérie non ha teso la mano». Nessuno ha voluto vedere, nella dolce Borgogna.