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 2021  giugno 27 Domenica calendario

Intervista a Mick Schumacher

Stessi occhi chiari del padre, piccoli e pungenti. Guarda molto lontano e in profondità, Mick Schumacher. Ha 22 anni il figlio del 7 volte campione del mondo tedesco, è alla sua prima stagione in F1 al volante della Haas e "studia" alla Ferrari Driver Academy, il vivaio per giovani piloti di Maranello. Ci incontriamo all’ombra del paddock del Red Bull Ring di Spielberg, la sua manager Sabine Kehm lo protegge come prima faceva con Michael. 32 gradi, lui non ha neanche una goccia di sudore sulla fronte, la maglietta bianca è ben stirata. Come le sue parole.
Mick, Sebastian Vettel ha criticato la Uefa che ha impedito di colorare lo stadio di Monaco con le luci arcobaleno nel match degli Europei contro l’Ungheria, lei che ne pensa?
«Sono completamente d’accordo con Seb. Nessuno di noi credo conosca a pieno le ragioni politiche e quello che stava succedendo in quella circostanza, ma credo sia di generale comprensione e di buon senso dire che ognuno può amare chi vuole».
Lo sport ha il potere o il diritto di cambiare il mondo?
«Lo spero, mi auguro di avere questa facoltà, tutti vogliamo essere dei modelli, manifestare i nostri pensieri, quello che è giusto.
Penso che tutti i piloti siano aperti ad aiutare e a condividere opinioni sul razzismo, la diversità, l’ecologia, tutto quello di cui la gente ha bisogno. Siamo qui anche per questo. Credo che alle parole debbano però seguire fatti e comportamenti: se dici che sei per la diversità e l’uguaglianza, devi esserlo nella tua vita privata, comportarti di conseguenza, mostrarlo fuori, altrimenti perdi l’obiettivo».
Vettel è un suo amico, che l’ha anche aiutata di recente.
«Sì, gli ho chiesto di guardare il sedile della mia macchina una settimana fa in Francia, perché guido storto. Mi ha detto di romperlo così me lo rifanno». (Il team poi è stato informato del problema da mamma Corinna, ndr ).
Che punti di riferimento ha come pilota e uomo?
«Un solo modello: mio padre».
Che ruolo ha sua madre Corinna?
«Enorme. Mi ha sempre supportato e avere persone che lo fanno, di cui ti fidi, una famiglia su cui poter contare è tutto, specie in questo sport. Le sono molto grato per tutto quello che ha fatto e sta facendo per me. Anche mia sorella Gina-Maria è una mia grande fan e io lo sono di lei, va a cavallo e sta riuscendo come io sono riuscito a fare il salto in F1, ci sosteniamo a vicenda».
Che rapporto ha con Jean Todt?
«È un grande amico di famiglia, ci ha aiutati in molte occasioni, sono molto grato a lui e sua moglie Michelle».
I figli dei piloti non possono che seguire le orme dei padri?
«Non necessariamente, nel mio caso io ho sempre amato questo sport sin da quando ero piccolo, mio papà e mia madre mai mi hanno fatto pressione o spinto a farlo, sono sempre stato io a voler correre nei kart».
Ma lei avrà respirato un’aria speciale in famiglia.
«Sicuramente. I motori erano il mondo di mio padre, ovvio che questo abbia influito, ma il fatto è che a me ha messo subito gioia guidare e vivere questo tipo di vita».
Avrà dovuto sacrificare qualcosa della sua adolescenza.
«Se così è stato, non me ne sono reso conto, perché facevo quello che amavo. Non sono mai stato il tipo che poteva stare fermo per molto tempo né amava uscire e fare tardi la sera. Frequentavo il solito gruppo noioso di amici della birra e per me non è stato complicato dire di no a una festa perché il giorno dopo dovevo allenarmi o andare in pista. Facilissimo da sintetizzare e far capire, e sono felice di essere dove sono».
Ha festeggiato in Francia il successo in F3 di Arthur Leclerc, fratello di Charles, anche lui in Ferrari. Siete una famiglia?
«Abbiamo una passione in comune e cose di cui parlare»
È una F1 con molti giovani, a volte troppo giovani?
«Se penso a un esempio come mio padre, lui ha iniziato la sua carriera a 17 anni esattamente come ho fatto io in F4. Io non penso di essere troppo o particolarmente giovane, anzi mi sento al momento giusto al posto giusto. Max Verstappen è arrivato in F1 minorenne, provocando anche critiche, ma ha dimostrato non solo di poter e saper fare un gran lavoro, ma che tutti quelli che dubitavano di lui avevano torto. Penso che le nuove generazioni siano capaci di essere performanti in tutto il motorsport e non solo in F1».
È soddisfatto della sua stagione finora?
«Sapevo che sarebbe stata difficile, sono già riuscito a cogliere qualcosa che era nei miei obiettivi ma ovviamente ho ancora tanto altro da raggiungere, per questo non smetto di fare il mio lavoro e guardare al prossimo step».
Ha molti attriti col suo compagno di squadra, Nikita Mazepin.
«Girano sempre tante parole, specie nei media, siamo abituati, per me l’importante è fare quello che so e farlo al mio meglio, pensare al mio traguardo, guardare avanti. Nel team lavoriamo bene insieme, c’è un bello spirito, per me la sfida non è solo col mio compagno di squadra ma è quella di non perdere l’obiettivo e il contatto con le altre squadre davanti, specialmente con le Williams».
Nel vivaio di Maranello è arrivata la prima pilota donna, Maya Weug, pensa che un giorno lei o altre possano raggiungere la F1?
«Sarebbero molto benvenute.
Anche se non significa che possano, fisicamente, affrontare le stesse cose degli uomini in F1, penso che sia giusto trattenerle e fare in modo che riescano a raggiungerci, alcune molto piccole gareggiano nelle categorie minori e molte altre sono in arrivo, penso che ci sarà una grande possibilità che un giorno una donna guidi in F1 e realizzi il suo sogno.
E il suo, di sogno?
«Facile. Diventare campione del mondo».