Corriere della Sera, 27 giugno 2021
Luigi, l’ostetrico da 5.000 parti
Da 30 anni fa venire al mondo bambini, talmente tanti da aver perso il conto: «Di sicuro oltre 5 mila, ma mi sa che non manca molto per arrivare ai 6 mila». Più che il numero esatto, però, gli importar l’aver aiutato personalmente a venire al mondo i suoi due figli. Luigi Codognotto è uno dei pochissimi ostetrici maschi sparsi qui e là lungo lo Stivale. In tutta Italia sono circa 300 (dottore più dottore meno) a fronte di oltre 20 mila colleghe donne, ma il trovarsi in minoranza non lo mette certo a disagio.
Il suo percorso lavorativo è legato a doppio filo all’Usl 6 Euganea e all’ospedale di Cittadella, provincia di Padova, dove dal 2000 «abita» in sala parto. E la prima nata ai piedi delle mura non potrà dimenticarsela mai: «Era proprio il 27 giugno – spiega il dottor Codognotto – e dopo un periodo di affiancamento in Ostetricia era arrivato il mio turno. Quel giorno c’erano quattro partorienti in attesa, ma il destino ha voluto che la prima fosse la mia ex moglie Antonella: alle 16.15 è nata mia figlia Eleonora, un’emozione che ricorderò per tutta la vita. In realtà non ho avuto molto tempo per gioire, perché mi sono subito concentrato sulle altre tre gestanti». Sei anni dopo il bis con il figlio Tommaso: «Non è che mi sia goduto molto neanche quello: sapevamo prima della nascita che aveva un problema cardiaco per cui doveva essere operato, quindi appena è venuto alla luce l’ho portato via per le prime visite. È successo tutto in fretta, ma assieme a quello di Eleonora rimane ovviamente il parto più bello della mia carriera». Iniziata nel 1991 all’ospedale Burlo Garofolo di Trieste: «Ero stato assunto come infermiere professionale nel reparto di Oncologia pediatrica prima e in Rianimazione pediatrica poi, ma dopo poco tempo sono stato chiamato quasi per caso in sala parto. Lì per lì non volevo crederci: nel 2021 è ancora difficilissimo se non impensabile che possa accadere, figuriamoci 30 anni fa. In quel momento, però, ho capito che avevo trovato la mia dimensione, quindi senza pensarci due volte mi sono iscritto a Ostetricia». Nel 1993 il suo primo parto «in solitaria» («Era una splendida bimba di nome Caterina, e la madre era slovena»), poi l’inizio di un «tour del Nord Est» che l’ha visto passare per Pordenone e per Oderzo, nel Trevigiano, fino all’approdo a Cittadella.
Un viaggio lungo trent’anni e migliaia di nascite, che lo ha visto specializzarsi nei parti con «distocia di spalla», ovvero quando esce la testa ma il resto del corpo rimane incastrato: «In quei casi bisogna essere professionali, compiere le manovre giuste e agire in fretta per salvare il bimbo. Ricorderò finché campo il caso di un neonato di 4,6 chili: ci ho messo quattro minuti e mezzo per sbloccarlo, un’eternità. Dopo poco tempo, a un matrimonio, ho nuovamente incontrato per caso i suoi genitori: me l’hanno dato in braccio dicendomi “questo è tuo”. Siamo scoppiati a ridere per non commuoverci, ma sono queste le soddisfazioni più grandi che un ostetrico possa desiderare». Le ultime parole sono un appello: «Il mio auspicio è che molti altri uomini decidano di intraprendere questa carriera: in trent’anni non sono mai stato discriminato, né dalle colleghe né tanto meno dalle partorienti senza contare i mariti, che forse sono i più contenti di tutti perché li distraggo parlando di calcio. Mio figlio? Spero che segua le mie orme, ma mi sa che è ancora troppo giovane per pensarci...».