il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2021
La renziana Manzione fa incetta di incarichi
Renziana sì, e dunque mica fessa. Antonella Manzione, già vigilessa di Firenze chiamata un bel giorno a Roma per essere piazzata sulla poltrona di capo del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi dal suo sindaco diventato premier, è una virtuosa che neppure Fregoli: non ha fatto in tempo a impratichirsi di tuberi e pomodori alla corte di Teresa Bellanova, che l’aveva voluta a tutti i costi come consigliere prima di far saltare per aria il governo Conte con le sue dimissioni, che l’altra renziana di ferro, Elena Bonetti, l’ha chiamata a sé al ministero della Famiglia e per le pari opportunità. Opportunità che di governo in governo, si rivelano più che pari per Manzione. Se nel 2020 aveva accettato persino di lavorare gratis et amore dei per entrare nella squadra di Bellanova (che del resto di consigliere giuridico ne aveva già uno), ora non ha fatto sconti giacché si tratta del governo dei Migliori: si porta a casa un compenso di 33mila euro, e scusate se sono pochi, per un secondo lavoro. A cui è stata autorizzata con l’obbligo di non venir meno agli impegni di consigliere di Stato e con una formula che, a conti fatti, le consente di sommare il blasone e il compenso di capo del settore legislativo al ministero di Largo Chigi allo stipendio a cinque stelle erogato ogni mese da Palazzo Spada. Bonetti, ministro senza Portafogli ma col cuore grande, non ha potuto pretendere l’esclusiva, ma non l’ha lasciata a secco avendo giurato pure lei di non poter fare a meno delle competenze della Manzione. Che dunque continua a fare carriera e a collezionare incarichi come se non ci fosse un domani, nonostante le polemiche che l’hanno accompagnata appena varcato il grande raccordo anulare una volta abbandonata la città del giglio.
Prima aveva alzato il ditino la Corte dei Conti che aveva avuto da ridire per via della sua designazione al Dagl su cui però Renzi non aveva voluto sentire ragioni. Poi era scoppiata un’altra grana ché qualcuno aveva avuto l’ardire di mettere in discussione la legittimità della sua nomina a consigliere di Stato. Una sorta di buona uscita da Palazzo Chigi imposta a dispetto di tutto, persino del requisito dell’età minima. Ma, tant’è, si era chiuso un occhio, anzi tutti e due: la sua nomina alla fine era passata sebbene tra le proteste dell’associazione dei magistrati amministrativi furiosi per la forzatura avallata dai mandarini di Palazzo Spada. Dove Manzione dorme sonni sereni nonostante il ricorso che proprio lì pende sulla sua nomina in attesa del verdetto finale da anni: l’ultima udienza c’è stata a fine 2019 e si è conclusa con un rinvio senza data. Da allora più nulla. Miracoli renziani.