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 2021  giugno 26 Sabato calendario

“Holiday” sarà il nuovo “Stoner”?

E se fosse un altro Stoner? Se fosse ancora possibile, nel mondo onnisciente e perennemente interconnesso del web, riscoprire un libro uscito mezzo secolo fa, rendersi conto che è una perla rara e trasformarlo in best- seller mondiale, molti anni dopo la scomparsa del suo autore, esattamente come è successo con il titolo (ora cult) di John Edward Williams? La fiducia in un simile miracolo cresce di pagina in pagina leggendo Holiday, romanzo di Stanley Middleton pubblicato nel Regno Unito nel 1974 e ora uscito per la prima volta in Italia grazie a Sem nella bella traduzione di Alfredo Colitto. La similitudine regge fino a un certo punto, perché Stoner, al suo apparire nel 1965 negli Stati Uniti, non riscosse alcuna attenzione, vendendo in tutto duemila copie e andando fuori commercio l’anno successivo, prima di conquistare la critica e i lettori internazionali dal momento della sua ripubblicazione in Europa un decennio or sono, mentre Holiday vinse subito il Booker Prize, a pari merito con Il conservatore di Nadine Gordimer. Ma a differenza di quest’ultima, il suo autore è rimasto pressoché uno sconosciuto fuori dai confini britannici, esattamente come capitò a Williams prima di venire riscoperto, nonostante pure lui, come Middleton, avesse vinto qualche anno più tardi, nel 1973, un importante premio letterario, il National Book Award.
In entrambe le opere non succede niente di eclatante. Williams racconta l’esistenza priva di emozioni del protagonista, un insegnante del Missouri che fa il suo mestiere in oscurità, si sposa, il matrimonio diventa infelice e contrastato, lui si innamora di una giovane studiosa ma è costretto a lasciarla perché la loro relazione desta scandalo, prosegue la carriera senza promozioni o successi, infine muore. Middleton narra di un insegnante di provincia che dopo il collasso del proprio matrimonio va in vacanza da solo in una località balneare della costa orientale inglese, dove incontra per caso i suoceri, intenzionati a farli rimettere insieme, dopo un paio di drink ha un flirt inconcludente con una turista, riesamina di continuo sé stesso senza rammarico né eccitazione. La maggior parte del romanzo si svolge nella sua mente.
Eppure, come scrisse Ian McEwan quando Holiday è stato ripubblicato in Inghilterra nel 2014, le “vite minori” narrate da Middleton illuminano l’animo umano come solo i grandi scrittori sanno fare. Oltre che grande, Middleton è stato prolifico: ha scritto e pubblicato un libro all’anno per quarantaquattro anni, fino alla sua scomparsa nel 2009, segno che gli editori ne riconoscevano il valore. Ma non è mai diventato popolare. Non ha mai smesso di fare l’insegnante per mantenersi. Ha sempre vissuto con la sua famiglia a Nottingham. Non frequentava salotti letterari, non andava in tivù, non dava interviste. Votava laburista, la domenica andava in chiesa e ogni giorno, tornato a casa da scuola, correggeva i compiti; poi, dopo cena, scriveva il romanzo di turno. Quando la regina gli conferì un’ambita onorificenza, l’Order of the British Empire, la rifiutò, non per sentimenti antimonarchici, bensì perché gli pareva di avere fatto soltanto il suo dovere e dunque di non meritarla. Scriveva anche poesie, ma non le ha mai pubblicate. Era bravo a dipingere, ma non avrebbe mai messo in mostra i propri acquarelli. Invitato una volta a tenere una conferenza all’università di Cambridge, si sentì chiedere da un docente di letteratura di che cosa scrivesse, visto che i suoi libri non erano né thriller né commedie romantiche: «Dell’uomo, del cuore umano e della vita umana», rispose, citando un verso di Wordsworth. «Poeta del prosaico», si autodefinisce il personaggio di uno dei suoi libri, in cui Middleton probabilmente si riconosce. «Provinciale, dagli argomenti limitati e dal linguaggio piatto, privo di grandi gesti, un po’ strambo. Ma, ma, ma, caratterizzato da profonda sincerità, occhio acuto, attaccamento alla realtà, amore per l’umanità e per le cittadine della sua regione». Leggiamo qualche riga di Holiday: «Malgrado il sole, in quella cittadina della costa orientale il vento spazzava gli angoli delle strade. In una delle vie principali, Fisher notò una cartoleria aperta, con espositori di cartoline, romanzi economici dalle copertine vistose, borse della spesa con sopra la bandiera britannica, secchielli e palette. Amava quel posto, con le sue arcate coperte in metallo, come se la rivoluzione industriale si fosse ammorbidita, producendo arti più miti. Ci andava da ragazzo, sfuggendo ai suoi noiosi genitori; a occhi spalancati, si faceva strada tra cappelli panama e scarpe sportive bianche, ascoltava conversazioni, ammirava le ragazze, invidiava chi aveva mezzi economici al di sopra dei suoi». E se fosse un altro Stoner?