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 2021  giugno 26 Sabato calendario

Vacanze afroamericane (sulla scrittrice Dorothy West)

La singolare ambientazione stuzzica la prima curiosità. Siamo a Martha’s Vineyard, l’isola dei ricchi e dei famosi. Negli anni Cinquanta, un mattino di fine agosto. Gli isolani sono in movimento per consegnare il latte, aprire i negozi, tagliare i prati, lavare le auto. Soprattutto nell’Ovale, tredici villini intorno a un parco. Scrive Dorothy West: «I villeggianti erano di colore e in virtù di questo inclini ad aspettarsi un trattamento speciale». Non sono gli unici neri in vacanza sull’isola. Ma gli abitanti dei tredici villini sono la vecchia guardia, fieri proprietari di una seconda casa da quando poche persone non bianche si potevano permettere una residenza estiva.
Singolare anche la scrittrice, che a Martha’s Vineyard visse gran parte della sua vita scrivendo per The Vineyard Gazette. Dorothy West era nata nera e benestante a Boston, nel 1907. Il padre, schiavo emancipato, era un commerciante di successo (aveva altri 21 figli). La madre cercava di tener nascosti alla figlia i linciaggi che ancora avvenivano nel Sud degli Stati Uniti. «Per evitarle un complesso di inferiorità», scriveva il New York Times in un articolo del 1999. Un anno dopo la morte di Miss West, ricordata e celebrata come l’ultima sopravvissuta della Harlem Renaissance, l’esplosione della cultura afroamericana negli anni Venti e Trenta. Era arrivata a New York giovanissima, il poeta Langston Hughes cominciò a chiamarla «The Kid», e la chiese in moglie. Lei rifiutò, nel 1932 fecero insieme un viaggio in Unione Sovietica.
Le nozze è un romanzo quasi postumo, pubblicato nel 1995 dopo cinquant’anni di silenzio. Il primo — The Living is Easy — risale al 1948, protagonista una bellissima e determinata bostoniana nera di inizio Novecento, ispirata alla madre di Miss West. La rinascita letteraria è dedicata a Jacqueline Kennedy Onassis, che allora lavorava come editor da Doubleday: diede una spintarella per superare il blocco e completare il manoscritto. In effetti, il finale è sbrigativo, in contrasto con la ricchezza delle storie e dei dettagli che il lettore ha goduto fino alle ultime pagine.
Nell’Ovale dei neri ricchi, va sposa la figlia dei più ricchi: Shelby Coles, figlia del medico che ha comprato la villa più bella. Un albero genealogico è stampato all’inizio del romanzo, torna indietro di quattro generazioni. Se ne afferra davvero la portata solo dopo aver letto le miserie e la voglia di rivalsa che dal Sud schiavista portano a Martha’s Vineyard e a Shelby, la sposa promessa: capelli chiari e occhi blu. Nonnina – per l’anagrafe la bisnonna di Shelby – sembra uscita da Via col vento di Margareth Mitchell: ancora pensa con nostalgia alla dolce vita nel Sud. Spera che la pronipote vivrà con il marito da bianca, non da nera ricca come ha fatto finora. Spera che la riporterà a morire nei luoghi della sua infanzia, viziata rampolla di un colonnello. Sua figlia Josephine le ha spezzato il cuore facendo il percorso inverso: verso il Nord, per poter sposare un uomo di colore.
Il movimento Black Lives Matter e le rivendicazioni identitarie rendono il terreno scivoloso. Ma Dorothy West era convinta che la classe contasse più del colore della pelle. Come nella sitcom televisiva Black-ish di Kenya Barris: una coppia della borghesia nera, con qualche indecisione in testa su come educare i figli maschi.
Le nozze è costruito sulle sfumature di colore. Le ragazze Coles potrebbero passare per bianche. La prima ha sposato un medico nero – come papà e come vuole la tradizione familiare. La seconda sta per sposare un pianista jazz bianco, e i genitori non sono entusiasti.
Rapidi salti di classe, con molte sofferenze e studio, conducono i discendenti degli schiavi a Harvard. Ma le differenze si ripropongono: certi neri sono troppo neri, certe ricchezze sono troppo veloci. Certi personaggi tenuti a distanza entrano nell’Ovale affittando la casa di un’anziana che conosce bene le regole della tribù, ma è malata e bisognosa di soldi. Nel paradiso si intrufola Lute McNeil, fabbricante di mobili a Boston: in città è riuscito a comprare l’edificio di quattro piani dove un tempo aveva preso in affitto un magazzino, e ancora prima si era accontentato della cantina per dormirci. Ha tre figlie bionde da donne diverse, e ha messo gli occhi su Shelby. La promette addirittura alle ragazzine come vicemamma.
La fortunata coincidenza tra la vivacità della Harlem Renaissance, la biografia di Dorothy West, la sua convinzione che con l’intelligenza e volontà tutto si può ottenere, l’ambientazione anni ’50 e la pubblicazione tardiva rendono Le nozze un pezzo unico. Anche per la disinvoltura con cui parla di sesso, e del fascino esercitato dai maschi neri. È il dilemma che la quasi sposa Shelby deve affrontare, quando alla vigilia delle nozze riceve un biglietto da Lute lo sciupafemmine. Appuntamento sulla spiaggia, di notte. Compromettente e allettante. Una delle pagine – assieme a quelle dove i neri miserabili caparbiamente studiano e riescono a diventare ricchi – che oggi scatena il dibattito sugli stereotipi, se non la censura. Leggiamo Le nozze prima che arrivino le brigate anti-romanzo.