la Repubblica, 26 giugno 2021
Khaby Lame, la star di Tik Tok, si racconta
Khaby Lame è nella stanza. Eccolo il ragazzo da un miliardo di like (solo su TikTok) in poco più di un anno. Quello che ha appena sorpassato Chiara Ferragni sul suo terreno prediletto, Instagram, in termini di follower. Quando è successo il gran capo di Instagram in persona, Adam Mosseri, gli ha scritto «I love your job», amo quello che fai.
Khaby Lame fa video con lo smartphone: video brevi, divertenti, surreali. Muti: «Il muto è un linguaggio universale, se vuoi comunicare con tutti non devi parlare». Nei suoi video in effetti non dice una parola, ma a comunicare ci pensano il suo sguardo irresistibile, gli occhi sgranati, il sorriso comprensivo a labbra strette e le mani, con i palmi girati verso il cielo, come a dirti: «Lo vedi?, è più facile di come immaginavi». Tutto è più facile. Basta prendere la vita come Khaby Lame. È come Buster Keaton, gli hanno detto tante volte, paragonandolo al divo del cinema muto. Lui non conosce Buster Keaton. «Il mio idolo è Will Smith» ci dice. «Ma mi piace anche Omar Sy», che in effetti guardandolo meglio gli assomiglia parecchio e come lui ha origini senegalesi. Intanto ha parlato. Abbiamo sentito la sua voce.
Non è una esperienza mistica, ci mancherebbe, ma sono 16 mesi che Khaby fa video su TikTok macinando follower in tutto il mondo come un aspirapolvere su una spiaggia e la sua voce non si era mai sentita. A proposito: l’ultimo conteggio dice che su TikTok, il social network di proprietà cinese che un anno fa Trump voleva vietare negli Stati Uniti e che adesso è sponsor principale degli Europei di calcio, Khaby Lame è da poco diventato terzo con 77 milioni di follower. Se continua a crescere così sorpasserà anche Charli D’Amelio (17 anni, del Connecticut, una bellezza classica, ballerina, a quota 118 ma sostanzialmente ferma lì) e sarà primo. Il re del mondo. «Non lo so, non ci penso, penso solo a divertirmi e far divertire gli altri» ci dice. Ma è un primato che vuol dire davvero qualcosa quello dei like e dei follower? Poco prima di riceverci in un appartamento in centro a Milano, Khaby ha postato il suo ultimo video: si vede Will Smith che in palestra cerca di levarsi la maglietta e si incastra goffamente con le braccia, e poi si vede Khaby che finisce la serie di addominali, si alza e si leva la maglietta in un istante: sorriso, occhi dolci, palmo delle mani aperto e la scritta “scusa mio idolo l’ho dovuto fare”.Lo hanno visto 5 milioni di persone in 24 ore. Supererà i 100 milioni come la maggior parte degli altri. Sì, quello dei follower e dei like è un primato che conta. Quelli come Khaby Lame li chiamano influencer, in modo vagamente dispregiativo; oppure creator, nobilitando la loro capacità di essere creatori di contenuti social. Sono un pezzo dell’economia che influenza la società; che determina comportamenti di acquisto e rende possibili persino battaglie politiche. Quando hai decine di milioni di follower ci metti un attimo a far sentire la tua voce in tutto il mondo.
Khaby è arrivato in Italia venti anni fa: «Avevo un anno». Il papà aveva trovato un lavoro qui e si era portato dietro la famiglia. È arrivato in aereo, è stato detto. Allora non sei arrivato con un barcone come gli altri migranti? «Spero!» ride, «mi hanno detto che era un aereo…». La famiglia Lame andò ad abitare prima a Romano Canavese e poi a Chivasso, alla periferia di Torino, nelle case popolari: «Tutti pensano che le case popolari siano brutte, abitate da brutta gente, ma io ci sono stato benissimo». E il razzismo? «Mai visto, mai sentito, con me tutti sono sempre stati gentili, ci aiutavamo sempre fra di noi». E gli hater? Gli odiatori che vivono sui social? Khaby ci regala uno dei suoi sorrisi più belli: «Li adoro», dice, «quelli mi seguono sempre, guardano ogni mio video cercando un errore per mettermi in difficoltà. Sì, voglio bene ai miei hater, sono i fan numero uno, come farei senza di loro».
A scuola Khaby si diverte ma non va bene: è dislessico e ha una forma di discalculia, problemi a fare i conti. «Mi hanno bocciato due volte» dice e anche questa cosa a tutti nella stanza sembra divertente. Un talento. Ma la scuola l’hai finita? «Sì, tutto regolare. E ho iniziato a fare mille lavoretti. Cameriere, muratore, lavavetri, facevo di tutto pur di guadagnare». Fino a quando è stato assunto in una fabbrica: operaio addetto ad una macchina a controllo numerico di filtri ad aria: «Anche se c’erano i numeri, quelli li capivo. Ma mi annoiavo, in fabbrica, io sono sempre stato un tipo allegro, solare, non era il posto per me». La svolta è stata il Covid: nel marzo 2020 scatta il primo lockdown e Khaby viene licenziato. Ma lui non si dispera, anzi: ora ha tempo per stare a casa a fare quello che ama: video divertenti. «Avevo cominciato qualche tempo prima con i miei amici, facevamo dei video che mettevamo su YouTube, ma non li vedeva nessuno, tredici, quattordici visualizzazioni. Li vedevamo solo noi». Con la pandemia debutta su TikTok che ha dalla sua un algoritmo che individua subito i contenuti che potenzialmente possono piacere a tutti e rispetto agli altri social consente di avere successo anche se non sei nessuno. Come Khaby Lame da Chivasso. Il primo video ovviamente è sull’Amuchina: che ci vuole a lavarsi le mani? Va forte.
A giugno Khaby capisce che questa cosa funziona, non è come su YouTube, e cerca un manager: non è il manager a scegliere lui è lui a scegliere Alessandro Riggio, un calabrese giovane e bello con un passato all’Actor Studio di New York e un presente da agente di influencer famosi. È Riggio a trattare con i giornalisti internazionali in fila per intervistarlo; è Riggio ad averlo convinto a studiare l’inglese «perché lui sarà il nuovo Eddie Murphy»; e c’era sempre Riggio al telefono con il ministero degli Esteri per cercare di avere un visto per gli Stati Uniti dove Khaby era stato invitato. Visto negato, «ho solo il passaporto del Senegal». Eh già: anche se nelle varie classifiche accanto a Khaby c’è sempre la bandiera italiana; anche se sta qui da quando aveva un anno; anche se qui ha fatto tutti gli studi; anche se da qui lavora e comunica con il mondo, Khaby Lame non è cittadino italiano: «Ma non mi serve un pezzo di carta per farmi dire che mi sento anche italiano. Senegalese e italiano». Ma la cittadinanza serve per una questione di diritti, per questo sta cercando di averla. «E quando ce la farò sarò uno dei primi che cercherà di aiutare tutti quelli che sono nelle mia situazione», ci dice rispondendo alla domanda sulle necessità non di dare la cittadinanza a lui (che l’avrà), ma di cambiare la legge per tutti. E adesso? «Continuo a pensare a come far ridere le persone». Il tuo sogno? «Fare cinema, vorrei diventare un attore comico». Il tuo segreto? «La costanza. Non essermi arreso. Le persone a volte rinunciano a fare le cose che amano perché si fanno condizionare dal giudizio degli altri». Fate come Khaby Lame: inseguite i vostri sogni.