Il Messaggero, 26 giugno 2021
Storia della tragedia di Ustica
Quasi ogni anno, in occasione dell’anniversario della tragedia di Ustica, si riaprono le polemiche e si torna a parlare di complotti, di servizi segreti deviati e di misteri d’Italia. Che nel nostro straordinario Paese molte stragi siano rimaste insolute è un fatto. Che questo sia dovuto alla callida progettazione di una strategia eversiva, all’intervento occulto di potenze straniere o semplicemente alla complessità delle indagini e all’(in)adeguatezza di chi le ha condotte è un’altra cosa. E per quanto riguarda Ustica, nessuno sa ancora perché quell’aereo sia caduto, e chi l’abbia fatto cadere.
LA CRONACA
Il DC9 Itavia IH870 era decollato alle ore 20,08 del 27 giugno 1980 dall’aeroporto di Bologna diretto a Palermo, con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Il tempo e la visibilità erano perfetti. Improvvisamente, alle 20,59, l’aereo sparì dagli schermi. Le ricerche iniziarono subito, senza troppe speranze di trovare superstiti. Il giorno dopo affiorarono alcuni corpi, bagagli e piccoli pezzi del relitto. Si capì subito che il DC9 si era inabissato. L’ipotesi del cedimento strutturale fu presto abbandonata. Quel velivolo non era affatto vecchio, e non poteva sfasciarsi così, senza ragione. Quindi si pensò ad altro: e come era accaduto per altre catastrofi, la dietrologia cominciò a fiorire.
LE CONGETTURE
Il tempo e il luogo si prestavano a queste congetture. Il Mediterraneo era un viavai di Fedayn finanziati e protetti da Gheddafi, da Arafat e dai sovietici, spesso peraltro in conflitto tra loro. L’Urss aveva piazzato i suoi missili nucleari SS20 a poca distanza da noi, e gli Usa stavano rispondendo collocando i Pershing e i Cruise. Il Papa polacco stava minando il monolite d’oltrecortina, e il Patto di Varsavia preparava l’ennesima repressione. Il nostro Paese, già martoriato dagli attentati dei rossi e dei neri avrebbe subìto, di lì a poco, la strage della stazione di Bologna. Ce n’era dunque abbastanza per attribuire il disastro del DC9 a un atto di guerra di qualcuno. Ma chi?
Qui scattò il riflesso del putant quod cupiunt, sposare cioè la tesi che più si adatta ai propri pregiudizi e alle proprie convenienze. E così le ipotesi si scatenarono. La tesi tecnicamente più verosimile vista la subitaneità dell’evento e l’improvvisa interruzione di ogni comunicazione era quella di una bomba, naturalmente fascista. Dopo la strage di piazza Fontana del 1969 ogni bomba era ontologicamente fascista. Ma evidentemente i terroristi neri, alcuni dei quali già individuati, processati e condannati, non bastavano. Bisognava cercare più in alto: la Cia, il Sismi, e naturalmente il Mossad.
IL TIRATORE SCELTO
Allora emerse l’ipotesi del missile. Ma un missile non si spara così, come una fiondata: occorreva individuarne il tipo, il costruttore, il possessore e naturalmente il tiratore scelto. Qui le supposizioni si incrociarono: era un missile americano, lanciato dal un aereo della portaerei Saratoga, oppure francese, della portaerei Foch, (o Clemenceau); no, era di un nostro F104; anzi, un razzo libico, spedito per contrastare un attacco a Gheddafi che si trovava da quelle parti. In effetti, in luglio un Mig libico era precipitato sulla Sila: se le date non coincidevano, bastava retrodatarne la caduta. Queste ipotesi generarono delle sottospecie: un aereo si era affiancato al DC9, sfruttandone la scia e sfuggendo ai radar; gli israeliani avevano bombardato un traffico di uranio; per alcuni, il DC9 si era trovato addirittura nel mezzo di una gigantesca battaglia aerea. In totale 29 versioni, una diversa dall’altra: tutte vere per il popolino, tutte opinabili per il tecnico e tutte utili per i politici.
LA RICOSTRUZIONE
Un recentissimo libro di Leonardo Tricarico e Gregory Alegi, Ustica, un’ingiustizia civile, demolisce le residue tesi complottiste fiorite nel clima tribunizio e inquisitorio dell’epoca. Tricarico è stato un Generale ai vertici dell’Aeronautica; Alegi è uno storico dell’aviazione, che insegna alla Luiss. Il primo difende appassionatamente la sua Arma dalla valanga di accuse di depistaggio e omertà cadutele addosso nei decenni. Il secondo espone i dati con rigore logico e scientifico, assistito dall’indagine condotta da A. Frank Taylor, uno dei massimi esperti del settore, corredata di foto, dati e diagrammi. Leggendo queste 270 pagine si rimane impressionati dalle lacune dell’estenuante ed eterna indagine istruttoria, dagli errori commessi dai vari periti e consulenti, dalla disinvoltura con la quale si abbandonavano e sposavano nuove ipotesi purché fossero orientata a validare la tesi del missile.
L’ISPIRATORE
Queste supposizioni potevano anche essere giustificate quando il relitto giaceva ancora in fondo al Tirreno; e tuttavia, a mano a mano che ne venivano recuperati i resti, si sarebbe dovuto capire che la tesi del missile era insostenibile. Quando poi fu ritrovata la sezione di coda, dove con ogni probabilità era scoppiata la deflagrazione, l’ipotesi della bomba avrebbe dovuto prevalere su tutte le altre. Invece si insistette in quella del razzo, e mancando l’individuazione dell’autore della strage, si imbastì un gigantesco processo a carico di decine di militari dell’Aeronautica, accusati di aver travisato, falsificato e soppresso prove per avallare la teoria dell’esplosione interna al velivolo. Nessuno ha mai spiegato il movente di un così fosco depistaggio, che comunque avrebbe dovuto avere un ispiratore che non è mai stato indicato.
L’ISTRUTTORIA
In realtà l’intera costruzione era paradossale: decine di generali, colonnelli e sottufficiali sarebbero stati indotti al silenzio per proteggere non si capisce chi: una congiura del silenzio che avrebbe dovuto coinvolgere anche centinaia di politici, italiani e stranieri, in Paesi dove nessun segreto resiste più di qualche ora alle soffiate, o alle insinuazioni, della libera stampa. Alla fine, dopo un milione e 750 mila pagine di istruttoria, 4000 testimoni e 277 udienze, con un costo di vari miliardi, tutti gli imputati furono assolti perché il fatto non sussiste. Quanto alle cause della catastrofe, i giudici penali non si pronunciarono con certezza. Ma la perizia in atti, firmata da undici luminari italiani, tedeschi, inglesi e svedesi ha concluso rigettando le ipotesi di abbattimento mediante missile, di collisione e di danno strutturale, considerando invece quella della bomba come tecnicamente sostenibile.
Naturalmente né la sentenza né il libro riusciranno a scalfire il pregiudizio che il DC9 sia stato abbattuto da un aereo americano che inseguiva un Mig libico intercettato da un Phantom israeliano mentre un Mirage francese si nascondeva dietro la scia di un nostro F104. È noto che quando si espone un argomento la ragione non serve: si può convincere soltanto chi è già convito. E quanto a consigliare la prudenza, è una battaglia perduta, anche perché dare consigli è inutile, ma darne di buoni è assolutamente fatale.