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 2021  giugno 25 Venerdì calendario

Il Museo Egizio l’hi-tech resuscita le mummie

Sono sarcofagi e mummie, ma non parlano di morte, parlano di vita. E «Alla ricerca della vita» è il nome che il direttore Christian Greco ha voluto dare alla nuova, strabiliante sala del Museo Egizio, uno spazio a cui si accede dalla sala 6, al primo piano, con un’appendice al piano superiore. Sotto le secentesche volte dell’antico Collegio dei Nobili i lugubri mesi della pandemia non sono volati via inoperosi: hanno desertificato le sale, e prosciugato i conti, ma anche regalato un tempo prezioso in cui sperimentare innovative modalità di dialogo digitale con il pubblico, e accelerare la realizzazione di un progetto che era già in nuce fin dal 2015, quando venne inaugurato il nuovo allestimento. Il risultato, da ieri, è sotto gli occhi di tutti: «Un segno», dice la presidente Evelina Christillin, «di come il museo abbia saputo affrontare i mesi difficili senza mai rinunciare ai compiti propri di un’istituzione museale, ossia, oltre alla ricerca, il rinnovamento espositivo».
Al centro della nuova sala è una grande teca allestita per ospitare in condizioni di temperatura e umidità ottimali 91 mummie della collezione, sei delle quali mostrate al pubblico insieme con i loro sarcofagi (quando esistenti) all’interno di altrettante vetrine scure che a intervalli di tre minuti si illuminano, accompagnate da un audio. Nato da una necessità conservativa, il progetto, spiega Christian Greco, «in linea con la volontà di rendere i magazzini del museo accessibili ai visitatori, intende fornire un "affaccio" sui reperti qui custoditi e sulle ricerche che li hanno interessati».
Le sei mummie su cui è possibile affacciarsi sono state scelte da epoche e contesti cronologici differenti, in rappresentanza delle varie fasi dell’esistenza - da quella ancora fetale all’avanzata maturità (per l’epoca) di una donna cinquantenne - a comporre idealmente una intera vita egizia, dalla nascita alla vecchiaia. Il vetro libero accanto a ogni mummia, grazie a una speciale pellicola, funziona come uno schermo a led che si trasforma in una superficie multimediale sulla quale si avvicendano le informazioni: una soluzione avveniristica che consente di fare a meno degli ingombranti schermi dei computer, e un’anticipazione di come sarà il museo del futuro, in parte già nel 2024 quando l’Egizio festeggerà il suo bicentenario. È così possibile assistere allo sbendaggio virtuale del reperto, realizzato con l’aiuto un algoritmo che assume l’immagine della Tac e sviluppa uno scavo stratigrafico rivelando gli amuleti nascosti sotto le strisce di lino, per giungere fino al corpo nascosto all’interno e scoprirne dati antropometrici e patologie. Allo studio scientifico condotto in collaborazione con l’Eurac Research di Bolzano (l’istituto che si è occupato di Ötzi) si affianca quello egittologico sugli oggetti deposti nella sepoltura e sugli altri documenti materiali e testuali coevi, tutti presenti nelle collezioni del museo, che consentono di «far parlare» gli oggetti illuminandone la biografia. In questo modo il personaggio viene reintegrato nel suo contesto vitale, recuperando l’unità perduta con la morte: un’operazione che richiama quella primordiale di Iside, quando ricompone il corpo smembrato di Osiride e gli restituisce il tanto di vita necessario a generare Horus.
Al racconto mitico corrisponde nella realtà degli antichi egizi il rito dell’imbalsamazione e della mummificazione, che riconsegnando al defunto la sua identità personale lo ricolloca nell’ordine dell’essere e della vita, e ne perpetua il ricordo fintantoché il suo nome sarà pronunciato sulla faccia della terra. È questo il vero movente dell’ossessione della civiltà nilotica per le pratiche funerarie, che lungi dal tradire una morbosa fascinazione necrofila nasce invece dalla preoccupazione di assicurarsi una forma trasfigurata di immortalità.
Per questo è tanto più paradossale l’«incidente» occorso a una delle mummie esposte nella nuova sala: quella di Imhotep, portata alla luce nel 1904 da Ernesto Schiaparelli. Imhotep era il visir di Thutmosi I, l’iniziatore del Nuovo Regno intorno al 1500 a.C.: un personaggio di altissimo rango, secondo solo al faraone, così importante da essere raffigurato ancora due secoli dopo sulle pareti della tomba di un sacerdote tebano. Senonché 3500 anni dopo, e per oltre cent’anni, è stata esposta sotto il suo nome la mummia di uno sconosciuto. È la scoperta più sensazionale tra quelle emerse nei lavori per l’allestimento di «Alla ricerca della vita»: il curatore Paolo Del Vesco aveva in mano le fotografie e le note di scavo di Schiaparelli, e si è accorto subito che non corrispondevano alle caratteristiche del reperto. Una paziente ricerca nei depositi ha consentito di ritrovare il vero Imhotep e ricongiungerlo con il suo nome. Chissà se ancora in tempo per restituirgli l’eternità?