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 2021  giugno 25 Venerdì calendario

Intervista allo scrittore Amin Maalouf

«Qualsiasi parvenza di vita normale è ormai sospesa su tutto il pianeta». Scritto prima della pandemia, I nostri fratelli inattesi è un esercizio di divinazione letteraria, una favola filosofica sin troppo attuale. Il nuovo romanzo di Amin Maalouf è il seguito ideale del saggio Il naufragio delle civiltà , tradotto sempre da La nave di Teseo. Su una piccola isola dell’Atlantico, il fumettista canadese Alec Zander e la scrittrice Ève Saint-Gilles sono sorpresi da un blackout totale, che paralizza il mondo intero. La spietata lucidità dello scrittore franco- libanese, che più di altri ha indagato la crisi dell’Occidente, questa volta apre una porta alla speranza, incarnata da una misteriosa comunità, il "popolo di Empedocle".
Com’è arrivato a scrivere questo romanzo profetico ?
«Dopo aver riflettuto attraverso diversi saggi su quanto di più inquietante accade nel mondo, ho sentito il bisogno di indicare una via d’uscita. Uno scrittore deve essere lucido, come dice Novalis "I romanzi nascono dai fallimenti della Storia". Anche se attraversiamo un’enorme crisi di civiltà, credo però sia sbagliato offrire ai lettori solo disperazione. Ho immaginato che il mondo fosse sull’orlo di un cataclisma ma che accadesse qualcosa in grado di salvarci dal baratro».
Qualcuno che arriva dal nostro passato?
«Non volevo un miracolo che solo Dio potrebbe fare, così ho cercato nella nostra avventura umana e alla fine sono risalito fino a venticinque secoli fa, a quello che viene chiamato "Il miracolo ateniese". Quando, in modo inaspettato, un’umanità che non sembrava così matura riuscì a inventare la filosofia, la democrazia, il teatro e molto altro ancora. Mi sono domandato: se esistessero degli eredi di quella civiltà pronti a riapparire quando ne abbiamo più bisogno?».
Cosa potrebbero fare per noi i "fratelli inattesi"?
«Sarebbero forse capaci di farci superare il problema che, a mio avviso, è quello fondamentale dell’epoca contemporanea, ovvero il divario tra la rapida evoluzione materiale e quella morale, che non procede altrettanto velocemente e anzi sembra talvolta in regressione. Si potrebbe discutere di quando si è fermata la nostra evoluzione morale e intellettuale. È un dibattito lungo. Nel romanzo ipotizzo invece che il divario possa essere colmato».
Impossibile non pensare a quello che abbiamo vissuto nell’ultimo anno.
«Avevo consegnato il manoscritto nell’autunno del 2019 per una pubblicazione nel corso dell’anno 2020. Quando è scoppiata la pandemia ci siamo accorti con l’editore che c’erano almeno due punti in comune con il romanzo. Il fatto che il mondo, da Roma a Calcutta, si fosse improvvisamente fermato per un unico evento e l’idea che la questione medica sia diventata una priorità nelle nostre società».
Non è stato quindi sorpreso dai recenti eventi?
«Sono ancora convinto che il mondo sia sull’orlo del disastro. Sarà una nuova guerra? Una crisi legata al clima? Un altro problema sanitario globale ? Non so rispondere, ma osservo l’impasse nella quale siamo finiti. Non c’è più un ordine internazionale, non c’è un modo di gestire le relazioni tra le diverse componenti della nazione umana, come mi piace chiamarla».
Lei ha scritto un saggio molto critico sul ritorno delle identità, anticipando un tema diventato ora centrale.
«Abbiamo bisogno di ripensare il modo di vivere insieme, e di farlo in profondità non solo con qualche trovata elettorale di breve periodo. Dobbiamo stabilire un nuovo contratto di convivenza. Quando le persone emigrano da un paese all’altro ci dovrebbe essere un codice preciso per sapere cosa devono lasciare e cosa devono portare nella società di adozione. È una priorità per l’Europa, ancor più che altrove».
È stato molto favorevole alla costruzione europea: ha cambiato idea?
«No, anzi vorrei che ci fossero progressi più rapidi. Il mondo ha bisogno di un’Europa forte che possa pesare in tutti i settori e che abbia la capacità di gettare le basi di un nuovo ordine internazionale».
La crisi dell’Occidente è quella degli Stati Uniti ?
«Sono preoccupato anche se la situazione è migliorata con l’attuale presidente, almeno riusciamo a capirlo. L’America ha smarrito il suo ruolo alla fine della guerra fredda.
Aveva un primato riconosciuto da tutti e poteva inventare un nuovo ordine mondiale. Ha scelto invece di inseguire l’ossessione di spaccare l’Unione Sovietica, poi ha trascurato l’Europa. Sono state lanciate avventure militari disastrose. Oggi gli americani si ritirano dall’Afghanistan fingendo di concludere un accordo di pace. In realtà stanno dando il potere ai talebani, con la complicità dell’Europa. Stiamo consegnando una nazione al gruppo più arretrato, e sappiamo già come finirà per le donne afgane. È una vergogna. Davanti a una scelta del genere, chi può ancora credere nei principi dell’Occidente?».
Sembra avere la stessa indignazione di Ève, una delle protagoniste del romanzo.
«I due personaggi di questo romanzo mi rappresentano. Alec esprime quello che dico quando sono in uno stato d’animo tranquillo mentre Ève rappresenta ciò che bolle in me».
Il mondo chiude gli occhi sul disastro umanitario in Libano, il suo paese natale?
«La maggior parte dei responsabili stranieri non crede più a una soluzione. Qualcuno ci ha provato, il presidente francese è intervenuto diverse volte. Ma è chiaro che i leader nazionali hanno un’enorme responsabilità. La classe politica libanese è probabilmente la più incompetente a governare ma anche la più competente per aggrapparsi al potere».
Qualche ragione di sperare?
«Il ruolo della letteratura è immaginare mondi diversi. Mai come oggi è necessario pensare fuori dagli schemi. C’è da ricostruire l’economia, ovviamente, ma anche da immaginare un futuro su basi diverse. Forse la pausa che la Storia ci ha imposto nell’ultimo anno servirà per riflettere. Mentirei se dicessi che sono ottimista nell’immediato. Ci vorrà del tempo per affrontare seriamente la questione del clima, per smorzare le tensioni identitarie ed evitare una guerra che, purtroppo, è più vicina di quanto immaginiamo. Alla fine probabilmente l’umanità si salverà, ma dopo un lungo periodo di tumulto».