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 2021  giugno 25 Venerdì calendario

I buoni cristiani che hanno detto no alla Chiesa

Mario Draghi non è l’anti-Papa. Non lo è per carattere, non lo è per fede, non lo è per cultura. La forte impronta che gli hanno trasmesso i gesuiti negli anni del Massimo e la gratitudine per tanti di loro si ravvivano in frequentazioni, consigli e consonanza che fanno di lui quel che un tempo si sarebbe definito un buon cristiano.
Ciò detto, la più decisa rivendicazione della laicità dello Stato rispetto alle pretese sul decreto Zan ha una spiegazione che prescinde dalla sua sensibilità, ma attiene da un lato al suo ruolo e da un altro al suo potere, oggi e domani. Chi ha fatto dell’autorevolezza un compito e una responsabilità di natura esistenziale sa bene, forse anche per istinto, che in Italia si gioca da secoli una partita complessa, sottile e più spesso di quanto si pensi nel tempo della finta trasparenza, riservata e coperta. Proprio su questo ultimo versante, con la sua nota tanto formale quanto maldestra, la Santa Sede ha sbagliato nei tempi e nei modi.
Da che mondo e mondo, per dirla in modo un po’ grossolano, da Oltretevere “ci provano”. O, se si preferisce, c’è sempre qualcuno che fa il suo gioco. È successo mille volte, su mille argomenti, anticoncezionali, divorzio, aborto, scuola, vendita di armi, unioni civili e via dicendo. Ma non è questo il punto.Quel che davvero conta, per chi governa l’Italia, è la qualità, la fermezza, la misura, il tono e dunque l’efficacia della risposta.Ieri Draghi è stato all’altezza della situazione e in fondo della storia repubblicana, su questo delicato terreno tutt’altro che disprezzabile.
Non una parola in più, non una parola in meno; timbro pacato e non voce grossa; argomentazione neutra, nessuna enfasi né richiami a “ingerenze” e “interferenze”.
Sono le condizioni minime per farsi rispettare. A casa De Gasperi, in famiglia, tale era la reverenza per Pio XII che il Papa era nominato come “la Persona”. Eppure il presidente del Consiglio seppe dirgli di no quando Papa Pacelli pretese che la Dc si alleasse a Roma con l’estrema destra. La “Persona”, è vero, se la legò al dito, negando a De Gasperi un’udienza privata, ma questi di nuovo gli rispose con un telegramma pieno di dignità.
Attenzione, però: tutto questo si seppe molto più tardi, quando la Dc si era già abilmente sottratta alla stretta confessionale e alla tutela elettorale dei Comitati civici.
I democristiani, in queste faccende di vicinato con la Santa Sede, furono molto più laici di quanto potessero far vedere. Alcuni di loro avevano conosciuto il futuro Paolo VI poco più che adolescenti. Non c’è vero leader che non abbia avuto i suoi duri e sotterranei confronti.
Moro era pieno di sconsolata diffidenza per il mondo della Curia: «Non so come possano, dicendo tante bugie, dire ogni giorno la Messa». Nei diari di Fanfani, la cui corsa verso il Quirinale era stata fatta deragliare da un intervento vaticano, si trova traccia di un disegno di legge scritto di suo pugno proprio contro interventi di questo tipo, prevedendo delle aggravanti per i cardinali.
Non così Andreotti, certo, né Rumor, né C olombo; ma già Piccoli era fumantino, De Mita le sapeva cantare, mentre Marcora e Donat Cattin non erano tipi da prendere ordini. Dopo il disastro del Banco Ambrosiano l’allora ministro del Tesoro Andreatta non esitò a rivelare in Parlamento torbidi rapporti con lo Ior. La ministra Rosy Bindi si mise di traverso rispetto alle indicazioni del cardinal Ruini sulle unioni civili, così come Romano Prodi si qualificò “cattolico adulto”. Craxi, ovvio, aveva avuto meno problemi, tanto potersi permettere di dire che Wojtyla guardava alla realtà italiana “con occhiali polacchi” – e non a caso fu lui a firmare il Concordato. Fra i premier laici, Berlusconi e anche Conte si sono sempre comportati come due agnellini. Per estremo paradosso, il più incandescente bacchettone fra tutti i dc, Oscar Luigi Scalfaro, fu anche quello che seppe impartire, prima durante e dopo il Quirinale, la più alta lezione di laicità delle istituzioni. Draghi non potrebbe essere più distante da lui, ma quando il Segretario di Stato della Santa Sede fa autocritica come ieri monsignor Parolin, c’è da star sicuri che la prossima volta dai Sacri palazzi una prudente telefonatina a Palazzo Chigi certamente verrà fatta.