Corriere della Sera, 24 giugno 2021
Lilli Gruber parla del suo "Otto e mezzo"
Lilli Gruber, La7 compie vent’anni. Cosa significa per lei, che è uno dei volti-simbolo dell’emittente?
«Sono arrivata qui nel 2008 e ho visto consolidarsi una tv ricca di informazione e approfondimento sempre più credibile che dà voce a tutti imparzialmente, assicurando il dovuto contraddittorio. Solo fatti mai fandonie. Molti sostengono, per me giustamente, che La7 svolga un vero servizio pubblico. Qui ho avuto due editori: Franco Bernabè con Telecom e ora Urbano Cairo, editore puro. Sono sempre stata assolutamente libera e autonoma nelle mie scelte. L’amministratore delegato Marco Ghigliani ha negli anni assicurato barra dritta al centro, una colonna».
Quest’anno avete fatto i conti con la pandemia. Con quali difficoltà?
«Tante. Ma sono molto fiera, lo dico per la squadra, dei risultati: un record di 3 milioni spettatori il 12 febbraio per la caduta del governo Conte, uno share medio del 7.55% e due milioni di spettatori nonostante il calcio che porta via pubblico... la migliore stagione di sempre di Otto e Mezzo»
Lei ha messo a fuoco uno «stile Gruber»: risposte secche, anche aggressive. Ha studiato il suo personaggio?
«Mai studiato personaggi. Cerco solo di fare il mio lavoro a schiena dritta senza scoliosi professionale. Potrei dire che quando le donne sono determinate diventano rompiscatole e castranti, se lo sono gli uomini allora ecco che diventano decisi e virili. Sullo “stile Gruber” lascio giudicare gli altri. Ma certi risultati si ottengono non solo col carattere ma con una squadra forte e giovane, composta per più della metà da donne in redazione. Un gruppo colto, che parla molte lingue e segue ciò che avviene nel mondo: il coautore Marco Capparelli, che ha 45 anni, il giovane regista Luciano Fontana, che ha lavorato negli Usa, la sicurezza de “Il Punto” di Paolo Pagliaro. E poi i tecnici, la produzione, il resto della squadra».
Sulla parità di genere, come si regola?
Il potere decisionale
Sono sempre stata libera e autonoma, ma quante altre colleghe si trovano
nelle mie condizioni?
«Mai una puntata senza una donna. Non se ne può più di vedere gli studi strapieni di maschi. Io ci sono riuscita nel 95% delle puntate, e se non è stato possibile è accaduto per un forfait improvviso»
Molti talk show, in tutte le reti, sono condotti da donne. Le fa piacere questa concorrenza al femminile?
«Certo. Molto. Ma mi chiedo: io sono responsabile della mia trasmissione, oltre che conduttrice. Decido i tempi, scelgo ospiti e scalette. Quante altre conduttrici sono nelle mie condizioni e quante quelle che si limitano a condurre ciò che è stato deciso da altri? Nel giornalismo italiano, sono dati dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, c’è il 41% di donne che, guarda un po’, è pagato il 18% in meno. Pochissime colleghe sono nelle direzioni o nelle governance. E questo pesa, perché il prodotto editoriale risente delle scelte di chi dirige. Cioè degli uomini….»
Lei è stata per anni inviata di Esteri con la Rai. Le manca viaggiare?
«La curiosità per ciò che avviene nel mondo, che ho da quando ero giovanissima, non mi ha mai lasciato. Certo, mi manca girare. Ma oggi non potrei mai essere professionalmente ciò che sono se non avessi fatto la giornalista sul campo in tanti Paesi: tutto questo fa la differenza»
Altri progetti?
«In autunno esce per Rizzoli il mio nuovo libro dedicato a Martha Gellhorn, riflessione biografica e autobiografica sul giornalismo. Martha é stata una grandissima inviata di guerra americana, l’unica delle mogli di Hemingway che gli tenne testa, infatti lo lasciò. Sul campo professionale, era molto più brava di lui».