Corriere della Sera, 24 giugno 2021
Biografia di Davide Locatelli (pianista tra classica e trap)
Per due anni Davide Locatelli e suo padre non si sono parlati. È successo il giorno del suo diploma al conservatorio: «Lo ricordo, seduto sul divano, quando gli ho detto che avrei smesso di suonare musica classica. Volevo sperimentare».
Se allora suo padre, pure musicista, vedeva in quella scelta anni di sacrifici buttati via, oggi è il fan numero uno del pianista che non ti aspetti, che con il suo ciuffo ossigenato, i 50 tatuaggi (tre per Lady Gaga), i piercing e, soprattutto, con quel suo modo di interpretare la musica, ha stravolto l’immagine di chi si è soliti immaginare al pianoforte. L’11 giugno è uscito il suo nuovo album, This is Dave. «Col mio disco vorrei far conoscere pezzi di artisti classici, da Bach a Beethoven, rivisiti in chiave ultra moderna: suonati su basi trap, ad esempio», racconta.
«La mia formazione è classica, ma dopo anni di studio – suono da quando ho 4 anni – volevo andare oltre». Da Mozart ai Cranberries. «Nel 2012 ho pubblicato sul web la mia rielaborazione di Zombie. Da subito la gente ha apprezzato, così ho iniziato a fare uno o due video alla settimana: risuonavo dei successi, a modo mio». Oggi Locatelli è seguitissimo su Instagram e i suoi video arrivano a milioni di visualizzazioni. «La svolta c’è stata quando gli artisti hanno iniziato a pubblicare le mie cover. Da Fedez ad Alvaro Soler». Il successo più grande, ora, è rispondere alla domanda: che lavoro fai? «Dal 2017 posso dire: il pianista. Faccio i miei concerti e vivo come ho sempre sognato, cioè grazie alla mia musica».
Una musica che non ama le definizioni, già da quando era piccolo. «Odiavo passare 8 ore al giorno al piano, anche sabato, domenica, in vacanza o quando gli amici erano a giocare. Alle elementari mi alzavo alle 5 e mezzo per fare due ore di solfeggio prima della scuola». Come vive ora le critiche? «Ne ho ricevute tantissime. Lo stereotipo vuole un pianista in giacca e cravatta che suona 18mila note, da virtuoso. Non è la mia musica. Non mi rivolgo ai maestri del conservatorio, ma a chi è fuori da questo ambiente, avvicinandolo».
Un po’ come Allevi? «Sono stato suo fan e la mia carriera di compositore è nata ispirandomi a lui. Poi mi sono appassionato a Einaudi e Bollani». Tutti pianisti non in smoking: «Non mi ci vedrei proprio. Ma non amo quando mi definiscono il musicista influencer. Preferisco musicista, punto. Sono questo. Ora aspetto solo il tour, anche all’estero: il mio è il linguaggio universale degli 88 tasti, vorrei arrivasse più lontano possibile».