Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 24 Giovedì calendario

Pechino compra poca Europa

Pechino insiste, sul piano politico, a chiedere all’Europa (e all’Italia) quella che chiama «autonomia strategica», in pratica l’equidistanza tra Stati Uniti e Cina. E spinge affinché i Paesi della Ue aderiscano alla sua Belt and Road Initiative, la cosiddetta Nuova Via della Seta, in particolare Roma che nel 2019 aderì all’iniziativa. La realtà sul campo, però, dice che la Cina è sempre meno vicina per quel che riguarda i suoi investimenti diretti in Europa. Un’analisi di Merics, centro di ricerca di Berlino sulla Cina, ha stabilito che nel 2020 il valore degli investimenti cinesi nella Ue e nel Regno Unito sono stati di soli 6,5 miliardi di euro, il livello più basso dal 2010. Al picco, nel 2016, erano stati 44,2 miliardi. Si può supporre che la pandemia abbia influito e in effetti l’anno scorso il volume globale degli investimenti che attraversano le frontiere si è ridotto del 38% rispetto al 2019, secondo l’Ocse. Succede però che nei primi tre mesi del 2021 il volume mondiale di fusioni e acquisizioni è tornato a volare, a 1.080 miliardi di euro, il livello più alto da un decennio; ciò nonostante, le operazioni estere cinesi sono rimaste depresse, in Europa non più di 20 per un totale di 707 milioni di euro, peggio di ogni singolo trimestre del 2020. Le ragioni sono più d’una: i controlli sui movimenti di capitale sempre più stretti imposti da Pechino; i golden power dei governi europei che possono impedire acquisizioni cinesi, per esempio i divieti alle cessioni di Lpe (semiconduttori) e a un’unità di Iveco imposti dal governo italiano; e il clima di maggiore attenzione alla penetrazione europea di Pechino da parte della Commissione Ue e delle autorità di Londra. Tra il 2000 e il 2020, le acquisizioni cinesi di imprese del Vecchio Continente sono state parecchie ma non strabilianti. Secondo Merics, il Paese che ha attratto maggiori capitali cinesi in vent’anni è il Regno Unito, 51,9 miliardi di euro, seguito dalla Germania, 24,8 miliardi, dall’Italia, 16 miliardi, dalla Francia, 15, dalla Finlandia, 13,3, dalla Svezia, 7,9, dall’Irlanda, 7,8 miliardi. La ritirata degli investimenti esteri cinesi non significa che Pechino ha rinunciato a fare acquisizioni in Europa: il porto di Taranto, per dire, resta fisso nel mirino cinese e sia il premier Li Keqiang che il ministro degli Esteri Wang Yi stanno producendo una pressione politica forte sul governo di Roma.