Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 24 Giovedì calendario

Intervista a Max Biaggi sui suoi 50 anni

Max Biaggi, 50 anni il 26 giugno, è salito su una moto per la prima volta a 18 anni e, subito dopo, già correva e vinceva gare. Passato sulla 250, ha vinto quattro campionati del mondo consecutivi. Più due mondiali nel Superbike. Ora ha una sua squadra nella Moto3, lo Sterilgarda Max Racing Team. Ha appena finito di preparare la colazione «alla ciurma», ovvero ai due figli avuti dall’ex Miss Italia Eleonora Pedron. Spiega che, quando sono con lui, preferisce non avere babysitter. Si dice campione di riso e zucchine al vapore. Confessa che, se il figlio decenne Leon volesse fare il motociclista, lo scoraggerebbe. Sospira... «È pericoloso. Preferirei non vederlo in pista». 
Che compagna di strada è la paura, quando si corre a 350 all’ora? 
«Non pervenuta. Quando ti vesti da pilota, sei come dentro un videogioco. Enzo Ferrari diceva che ogni figlio che hai, vai un secondo più piano, ma avendo vinto due campionati del mondo da padre, ho scoperto che non è vero. Semmai ho iniziato a pensare che l’aereo potesse cadere». 
La paura non arriva neanche dopo la prima caduta? 
«No, ormai avevo due decenni di esperienza. La vicenda assurda è l’incidente del 2017, a 40 all’ora, un trauma serio. Dopo la prima operazione, al risveglio, intontito da farmaci e dolore, ricordo chiaramente che venne il primario. C’erano mamma e papà, il primario disse che, con quel tipo di trauma, l’80 per cento muore. Io non ho battuto ciglio, ero troppo frastornato per capire, ma guardai papà e mamma ed erano bianchi in viso, chi aveva una lacrima, chi la tratteneva. Io zero. Tant’è che chiesero al primario di rispiegarmelo». 
E quando le ripetè che aveva il 20 per cento di possibilità di sopravvivere? 
«Ho visto il film della mia vita passare in un lampo. Ho pensato a Schumacher: ha fatto una vita a 380 all’ora e poi è stato fregato da una caduta con gli sci. Poi, ho pensato a Nicky Hayden: era stato mio compagno di squadra e, venti giorni prima, era morto in bici. Ho visto una maledizione del campione. Mi sono chiesto: sono il prossimo? Lì mi sono reso conto che ero fatto di carne e ossa». 
Disse che non sarebbe più andato in moto, poi a novembre ha messo il record mondiale su quelle elettriche: 408 chilometri all’ora. 
«Come diceva Ayrton Senna, un uomo che smette di sognare è un uomo che non ha più nulla da dire. Se non hai un sogno, un’ambizione, una luce che ti guida, come vivi?». 
Adesso qual è l’obiettivo? 
«Superare quel record». 
Il momento più esaltante della sua carriera? 
«La prima gara in 500 al MotoGp, nel ’98: sono partito in pole, ho vinto e ho fatto pure il record della pista, una cosa successa soltanto 25 anni prima a Jarno Saarinen e poi è capitato a me, non so neanche perché. Però il momento più grande è sempre quando vinci il campionato del mondo». 
Ne ha vinti sei. 
«E ognuno ha un sapore diverso. L’ultimo in 250 l’ho vinto appena passato alla Honda dopo tre vinti con l’Aprilia: non mi avevano riconfermato e sono riuscito a batterli». 
Perché un team cambia un pilota che ha vinto tre mondiali di seguito? 
«Mi rimproveravano che si parlava troppo di me e poco di Aprilia. Il contrario di quello che fa il marketing oggi». 
Padre senza freni 
Enzo Ferrari diceva che ogni figlio che hai vai un secondo più piano: io ho vinto 2 mondiali da padre 
Anche i giornali la criticavano perché era nello star system e aveva le donne più belle dell’epoca. Se le dico Naomi Campbell? 
«Che devo dire? È bellissima». 
Quanto tempo siete stati insieme? 
«Mai stati insieme». 
Anno 1997, Naomi sta col ballerino Joaquín Cortés, e vi paparazzano nel mezzo di un bacio. 
«Non era un bacio e a Joaquín l’ho presentata io. Poco dopo rivedo lui a Milano, lei aveva tentato il suicidio per amore. Joaquín mi ha fatto un gesto tipo: mannaggia a te che me l’hai presentata». 
Per farsi beffe di lei, Valentino Rossi fece un giro al Mugello con la bambola gonfiabile di Claudia Schiffer. È stata una rivalità peggio che Coppi-Bartali, con lui che la sorpassa e le fa il dito medio, una mezza rissa a Barcellona 2001... 
«Questa parte facciamola corta». 
Invece fu lunga. Quando iniziò? 
«La rivalità vera gli atleti ce l’hanno quando si confrontano nella stessa gara e categoria. Invece, io ero in 250, lui in 125 e i giornali ci ricamavano già su». 
Quando Rossi esibisce la bambola a che punto siamo? 
«Che io correvo in una categoria, lui in un’altra. Un conto è la rivalità creata dai giornali e un altro che l’alimenti in modo esponenziale». 
Oggi, se lo vede, lo saluta? 
«Lo saluterei, ma lui non saluta me». 
Dopo la separazione dei suoi, lei per anni non ha parlato con sua madre. Vi siete ritrovati? 
«Avevo 13 o 14 anni. Ci siamo riavvicinati quando sono di ventato padre, grazie a Eleonora. Ammetto che è stata una cosa buona». 
Col senno di poi, come si spiega l’esplosione improvvisa del suo talento? 
«Non me lo sono mai spiegato. A volte mi risento Biagio Antonacci che ha scritto per me Il campione. Le parole sono la risposta: “Senti la gioia che parte da te e ti chiedi ogni volta: perché questo, mio Dio, l’hai regalato a me”?».