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 2021  giugno 24 Giovedì calendario

Giorgio Faletti ricordato dalla moglie Roberta Bellesini

Giorgio Faletti è ancora vivo. Già sette anni, eppure è ancora vivo. La sua voce e il suo sguardo tornano nel primo film tratto da un suo libro, Appunti di un venditore di donne da domani su Sky Cinema Uno, regia accortissima di Fabio Resinaro. Eppure quelle architetture a incastro sembravano fatte apposta per finire sullo schermo. «Mi sa che il primo film uscirà postumo» scherzava lui, il più grande tra i nostri “malincomici”. Era vero. Lo racconta Roberta Bellesini, che di Giorgio Faletti è stata moglie e sarà sempre custode.
Perché abbiamo aspettato tanto?
«Chissà, forse per via di storie con ambientazione complessa, Io uccido si svolge tutto a Montecarlo, mica facile girare là.
Ma ne uscirà una serie, anche se ormai sono scaramantica. Ne parlerò solo guardando i titoli di coda».
Questo venditore di donne la convince?
«Non c’è una sola virgola del film che non restituisca la voce e le atmosfere di Giorgio, quella Milano da bere che viveva solo di notte. Un’operazione rispettosa e sensibile: una pellicola girata e recitata benissimo. Il volto di Bravo, interpretato da Mario Sgueglia, quel suo tormento, sono gli stessi che avevo in mente da lettrice».
Cosa significava questo romanzo per Giorgio?
«Era la sua prima storia italiana.
Diceva: dopo avere scritto i libri che mi sarebbe piaciuto leggere, ho fatto quello che avrei voluto scrivere. Una vicenda in parte autobiografica, perché Giorgio lasciò Asti per Milano alla fine degli anni Settanta per lavorare nel cabaret con Ezio Greggio, Boldi e Teocoli, suoi grandi amici. Era il mitico Derby di Gaber e Cochi e Renato, che nel film diventa l’Ascot. Un mondo incredibile, frequentato anche dalla mala».
Suo marito le raccontava di quei personaggi?
«Mi diceva di avere conosciuto il boss Francis Turatello, che andava al Derby per divertirsi. Giorgio sperava che il romanzo lo facesse entrare nel gotha dei giallisti italiani, e che si smettesse di dire che i suoi noir erano scritti da un ghost writer americano, magari il suo amico Jeffery Deaver. Ma come?, rispondeva Giorgio. Se lui avesse scritto una cosa come Io uccido credete che l’avrebbe regalata a me?».
Quella Milano e quell’Italia: il caso Moro, la Lancia Fulvia, le cabine telefoniche, la schedina da mezzo miliardo.
«Le sfumature sono tutto. Ogni dettaglio è funzionale al racconto, mai una semplice citazione.
Hanno girato di notte, d’inverno, al freddo, anche nei capannoni di periferia. Sono stata sul set, ho letto la sceneggiatura e mi sono emozionata moltissimo».
Quanto contò questo romanzo per suo marito?
«Era il sogno di diventare uno scrittore vero, non solo un autore di grande successo, e di essere accettato come tale. Io penso che Appunti di un venditore di donne lo collochi tra i grandi di genere come Scerbanenco e Umberto Simonetta. Mio marito ha venduto dieci milioni di libri, eppure era sempreinsicuro, un perfezionista esagerato. E quando si ammalò, temeva l’oblio più della morte.
Aveva paura che dei suoi libri non si sarebbe ricordato nessuno, e nei primi due anni senza Giorgio questo era anche il mio incubo. Poi ho capito che lui è sempre amato, letto e seguito. La Nave di Teseo ha ripubblicato tutti i romanzi con una nuova veste grafica, e i lettori sono ancora moltissimi. Questo mi permette di essere finalmente più serena».
In Italia si perdona tutto, non il successo. Una frase fatta?
«No, una cosa profondamente vera. Quando Giorgio irruppe sulla scena letteraria in quel modo dirompente e quasi all’improvviso, in pratica dal nulla, c’era chi disse: questo qui fa ridere, canta, recita, cosa vuole ancora? Lui ne soffriva, ma intanto scriveva. Mai contento, perché i migliori non lo sono, eppure tenerissimo. Dopo ogni suo romanzo mi ripeteva: Roberta, non saprò più scrivere una cosa bella come questa. E invece ci riusciva».
Il film ci conferma che Giorgio Faletti era veramente un grande giallista, un mirabile costruttore di incastri. Di solito, però, i film tratti dai libri deludono.
«Questo no, perché contiene tutto l’essenziale, direi l’anima e la sostanza del romanzo, le sue storie parallele. Anche se è inevitabile ridurre, il giovane regista ha saputo distillare quanto non doveva essere perduto. La riuscita del film mi ha persuasa che potranno arrivarne altri e che c’è ancora tanto da fare, perché Giorgio c’è ancora tanto».
Di questo romanzo resta indimenticabile l’incipit folgorante. E non pochi personaggi.
«Erano sempre sfaccettati: un altro aspetto che la pellicola rende bene. Daytona esisteva davvero, mio marito ne parlava spesso. Nel film è interpretato mirabilmente da Paolo Rossi, così stralunato e stropicciato. Ecco, qui si percepisce intensità e amore per una bella storia. Si fissa il buio, e rimane intatto lo sgomento di allora».