il Fatto Quotidiano, 24 giugno 2021
Il Pnrr è il nostro “Good bye, Lenin!”
Ce n’est qu’un début. No, per carità, non è il maggio (né il giugno) francese. È quanto sostiene il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, su La Stampa: “Questo è solo l’inizio”. E intende il Pnrr italiano, la cui “tabella di marcia” è “un allegato di 566 pagine che elenca nel dettaglio tutti i progressi che verranno richiesti per far partire i pagamenti”. Una fabbrica di San Pietro per 68 miliardi di sovvenzioni in sei anni – il resto sono prestiti – sui quali l’Italia sarà percettore netto, se va bene, per una trentina. La cosa preoccupante è che pure i progetti, gli obiettivi intermedi, la valutazione di risultato e tutto il resto non sono che l’inizio. “Il piano approvato dall’esecutivo Ue prevede la realizzazione di ben 58 riforme” (non una di più, non una di meno) e l’impegno “ad adottare leggi annuali sulla concorrenza nel 2021, 2022 e 2023”: bilancio pubblico bloccato (anche dal ritorno del Patto di Stabilità tra 18 mesi), indirizzi politici decisi tra governo e Bruxelles e nessuno che ride quando Draghi dice agli onorevoli “il ruolo del Parlamento sarà centrale”. In sostanza si tenterà di imporre, dietro modico pagamento, la realizzazione anche di quel poco della paccottiglia ideologica degli anni Novanta – liberalizzazioni, privatizzazione dei servizi pubblici, flessibilità del lavoro, smantellamento dell’intermediazione pubblica del risparmio (pensioni e sanità su tutto)… aka “le riforme” – da cui ci eravamo salvati all’epoca. Roba, sia detto en passant, che pure gli eredi dei Chicago boys ormai sussurrano solo sotto la doccia, ma In Europa la nostalgia del decennio della Terza Via, che poi era la prima, è il vero cemento dell’establishment. In questo senso il Pnrr è un po’ il nostro Good Bye, Lenin!: in quel film un figlio amorevole faceva i salti mortali per non far sapere a sua madre, appena uscita dal coma, che il Muro di Berlino era caduto e la sua amata DDR non esisteva più; qui una classe dirigente continentale che ha collezionato ogni forma di fallimento è disposta a pagare (non troppo) per restare trent’anni indietro. La nostalgia per la propria giovinezza è un ben noto sentimento umano, non riuscire a vivere nel presente una psicosi: tra le due, la Ostalgie del film comunque era più tenera e meno pericolosa.