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 2021  giugno 23 Mercoledì calendario

Bernardeschi segue il «percorso Hoffman»

FIRENZE Anche all’interno di un gruppo selezionato per un torneo breve come la Nazionale di Mancini, ci sono giocatori che fanno da cartina di tornasole: non è esagerato dire che se il c.t. dal tocco (e dal tacco) magico ha recuperato anche Federico Bernardeschi alla causa, dopo una stagione pressoché disastrosa con la Juventus, allora tutto può accadere a questa squadra che si prepara all’ottavo contro l’Austria, sabato a Wembley. 
«Berna» si è rivisto con il Galles da titolare e una volta spostato a sinistra, ha dimostrato una volta di più che al di là delle capigliature sempre differenti e appariscenti, esistono due versioni dello stesso calciatore, quella azzurra appunto («perché qui mi fanno rischiare la giocata» ha detto dopo aver piegato San Marino) e quella juventina: «Quando giochi bene e ti diverti in campo tutto è più bello. È la ciliegina sulla torta, è davvero una cosa straordinaria» ha ribadito ieri Fede nella intervista alla Uefa. 
Ma la torta è pur sempre quello che si vede dall’esterno, perché il calciatore interiore è un’altra cosa. E da questo punto di vista Bernardeschi è probabilmente il ragazzo più complesso della Nazionale. Non a caso il «percorso Mancini», per lui si intreccia con il «percorso Hoffman», una tecnica di crescita personale nata 50 anni fa in California e diffusa in tutto il mondo, anche se poca conosciuta dal grande pubblico: «Mi è successa una cosa che mi ha cambiato la vita: ho fatto un percorso che si chiama Hoffman, che ti consente di scoprire la persona che sei realmente – ha raccontato Bernardeschi davanti al pubblico degli studenti della Bocconi nel 2019 —. Da quel momento ho capito tante cose e ho detto basta: non gioco più per gli altri, ma per me stesso». 
Forse anche questo è il motivo per cui Fede, pagato 40 milioni dalla Juve, si piega – alle critiche, al sarcasmo, anche agli insulti dei social da parte dei suoi stessi tifosi – ma non si spezza mai. E rinasce ogni volta in un ambiente più fertile per lui, come quello azzurro: «Quello che ha fatto Bernardeschi è un percorso interiore – spiega Riccardo Pittis, ex campione di basket, con la Nazionale, Milano e Treviso e oggi mental coach di atleti, manager, imprenditori e anche persone “comuni” —: in estrema sintesi ti permette di conoscerti meglio, di imparare a volerti bene e soprattutto ti avvicina alla tua vera natura, alla tua essenza. Non vorrei fosse confuso con qualcosa di esoterico o troppo spirituale: è pragmatico e molto intenso, dato che dura una settimana, con una full immersion in un ambiente protetto. La fortuna di Bernardeschi, a differenza del mio caso, è averlo scoperto durante la carriera: sicuramente gli sarà utile». 
Sul metodo utilizzato la riservatezza è assoluta. Di certo l’Hoffman è qualcosa di molto diverso dal coaching motivazionale, utilizzato nelle fasi più delicate della propria carriera da altri due azzurri, come Bonucci e Acerbi, o dalla Programmazione neurolinguistica (Pnl) a cui fanno ricorso altri «allenatori della mente» utilizzati sempre di più dai calciatori. «Il programma – si legge sul sito italiano dell’Hoffman Process – utilizza vari strumenti come la scrittura, la visualizzazione, la condivisione e l’espressione emotiva, e consente di sperimentare tutti i livelli del proprio essere, intellettuale, emotivo, spirituale e fisico, che compongono ciò che Bob Hoffman chiamava la “Quadrinità dell’individuo”». Se serve anche questo, per preservare un talento per molti versi inespresso come quello di Bernardeschi, allora anche il Mancio ringrazia.