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 2021  giugno 22 Martedì calendario

Grandi evasori, Roma chiede a Berlino la "lista Dubai"

Riparte la caccia ai grandi evasori internazionali: dopo la «lista Falciani», coi nomi dei titolari dei conti alla filiale di Ginevra della HSBC, e dopo i «Panama papers», ecco la «lista Dubai». Si tratta di milioni di nominativi di titolari di beni registrati negli Emirati arabi, ed in particolare a Dubai, finiti nella mani delle autorità tedesche e tramite loro, a breve, anche nella disponibilità degli altri paesi europei. L’Italia, si è appresso ieri da fonti del Mef, si è già fatta avanti e tramite l’Agenzia delle entrate ha chiesto di conoscere i nominativi degli italiani.

Ai tedeschi la lista, che comprende una marea di informazioni riservate, è arrivata a inizio anno sotto forma di «cd» da una fonte anonima. Secondo il ministero delle Finanze tedesco, che per averla avrebbe sborsato 2 milioni di euro, con questa operazione sono state acquisite «informazioni su milioni di contribuenti in tutto il mondo e diverse migliaia di tedeschi».

Merkel apre subito la partita
Il Fisco tedesco, come è già avvenuto in passato con operazioni analoghe, ora vuole esaminare queste informazioni e individuare la presenza di eventuali redditi e beni non dichiarati da persone che vogliono evadere le tasse nel paese di origine. Tutti i dati sono già stati trasmessi ai Lander per le verifiche del caso ed al tempo stesso sono state messi a disposizione del resto d’Europa in virtù di una direttiva comunitaria del 2011 sulla cooperazione in campo fiscale. «Come Italia dobbiamo acquisire velocemente i dati degli italiani che hanno trasferito fondi in altri Paesi. In questo senso mi sono attivata con gli uffici» ha spiegato ieri il viceministro all’Economia Laura Castelli, secondo la quale «c’è una dimensione estera su cui è necessario rafforzare tutte le azioni utili ad arginare il fenomeno dei paradisi fiscali».
Con le informazioni di cui verrà in possesso l’Agenzia delle entrate potrà incrociare i dati della «lista araba» con quelli delle dichiarazioni e quindi riscontrare tutte le anomalie e le eventuali omissioni. Anche se acquisiti da fonte anonima, in virtù di una sentenza della Cassazione relativa alla lista Falciani, questi dati sono infatti utilizzabili sia in fase amministrativa che giudiziale.
Dubai è notoriamente uno dei più noti paradisi fiscali del mondo: negli Emirati, infatti, non si pagano imposte sul reddito personale né sul reddito di impresa e non esistono né l’Iva né la tassa di successione. In questo paese non c’è l’imposta sul capital gain e nemmeno quella sui dividendi e questo fa dell’Emirato un luogo perfetto sia per chi fa impresa che per coloro che detengono titoli azionari poiché non sono tenuti a pagare imposte né sui dividendi né dalla vendita delle loro stesse partecipazioni.

Il precedente Panama papers
La «lista Dubai» tornerà certamente utile al nostro Fisco nel momento in cui il governo intende rilanciare la lotta all’evasione - giusto ieri la Guardia di finanza ha comunicato che nell’ultimo anno ha scoperto altri 3.546 evasori totali - ma non bisogna illudersi. Se pensiamo ai tanto celebrati «Panama papers» (11,5 milioni di documenti) i consuntivi ci dicono che in 5 anni i 24 paesi che hanno utilizzato quei dati hanno raccolto in tutto 1,39 miliardi di dollari. In cima alla lista c’è il Regno Unito con 252,8 milioni di dollari, a seguire Germania (195,7), Spagna (166,5) e Francia (142,3). E l’Italia? Ha recuperato in tutto 65,5 milioni di dollari. Una bella cifra, ma nulla se confrontata coi 106 miliardi di euro della nostra evasione fiscale.