Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 22 Martedì calendario

Raisi agita l’arma del nucleare

Ha richiamato gli Stati Uniti «a rispettare gli impegni presi» sul nucleare, respingendo nettamente l’ipotesi di un faccia a faccia con il “rivale” Joe Biden. Ha rivendicato per sé l’improbabile ruolo di difensore dei diritti umani, cercando di cancellare le macchie sul suo passato di capo della magistratura iraniana. Ha aperto all’Arabia Saudita e chiuso sul programma missilistico iraniano («non è negoziabile»). Davanti a circa 180 giornalisti stranieri, il presidente iraniano eletto Ebrahim Raisi, consacrato venerdì da un voto popolare per niente “torrenzia-le”, si è presentato al mondo. E non poteva che essere il “dossier” sul nucleare il centro di un fascio di dichiarazioni a tratti bellicose, a tratti distensive pronunciate dal delfino dell’ayatollah Ali Khamenei, la 82enne Guida suprema iraniana, l’uomo che ha l’ultima parola su tutte le principali questioni. Da parte sua Biden si è detto «impaziente» di vedere dove porteranno i negoziati sul nucleare. La Casa Bianca ha fatto sapere che non c’è una «timeline» per raggiungere l’accordo ma al tempo stesso ha lanciato un monito a Raisi sulla violazione dei diritti umani: «Sarà chiamato a renderne conto».
Che effetto produrranno le elezioni di Raisi sulla delicata e intricata matassa del nucleare, dopo la rottura unilaterale decisa dall’allora presidente statunitense Donald Trump e il ritorno delle sanzioni (e dell’attività nucleare da parte dell’Iran)? «Il mio messaggio agli Usa è questo: tornate immediatamente all’accordo sul nucleare». «Questa – ha aggiunto Raisi – è la linea del governo attuale e del prossimo: vanno tolte tutte le sanzioni. Sosterremo ogni negoziato che garantisca i nostri interessi nazionali, ma non intendiamo trattare
solo per trattare. E non negozieremo all’infinito». Il nodo da sciogliere restano le sanzioni («disumane» le ha definite il presidente che si insedierà il 3 agosto) e soprattutto la loro tempistica: Teheran vuole che vengano ritirate prima di rilanciare i negoziati in corso a Vienna da aprile. Alla domanda se vedrebbe il presidente Usa Biden, Raisi ha risposto con un secco “no”. Insomma un mix di minacce e concessioni pronunciate dopo che dai round negoziali di Vienna erano giunti segnali incoraggianti: Enrique Mora, il delegato dell’Unione Europea che ha presieduto il sesto giro di negoziati, ha parlato domenica di «un accordo più vicino». Sulle pesanti ombre che avvolgono la sua lunga e inarrestabile carriera da magistrato, il falco Raisi si è detto «orgoglioso del fatto che da procuratore» abbia «difeso i diritti, la sicurezza e il benessere della nazione». «Un procuratore o un giudice che protegge i diritti e la sicurezza della nazione deve essere elogiato perché ha protetto la sicurezza del Paese», ha rilanciato, rispondendo idealmente alle accuse di molti oppositori di aver fatto parte delle “commissioni della morte” che mandarono all’impiccagione migliaia di detenuti politici alla fine degli anni Ottanta. Capitolo Arabia Saudita, eterno nemico dell’Iran. La «priorità» di Teheran nelle relazioni estere è per i Paesi «vicini» e «non ci sono problemi» rispetto alla ripresa dei rapporti», con Riad, il Paese contro il quale Teheran sta combattendo una “guerra per procura” in Yemen. Raisi ha però avvertito che il programma di missili balistici di Teheran «non è negoziabile» nonostante le richieste degli Stati Uniti di includere tali di includere la questione in un accordo più ampio su nucleare. «Insistiamo, le questioni regionali o le questioni missilistiche dell’Iran non saranno negoziabili».