La Stampa, 21 giugno 2021
Un anno da reclusi
È stato un anno di speciale sofferenza, questo 2020 segnato dalla pandemia. Specie per chi a vario titolo è privato della propria libertà. Non solo i detenuti in carcere, ma i migranti rinchiusi nei centri per l’espatrio dove appena la metà dei casi finisce in rimpatrio, gli anziani e i disabili confinati in Residenze assistite che hanno serrato i battenti e si sono trasformate in prigioni. «Tutte le diverse aree di privazione della libertà personale – scrive nella sua Relazione al Parlamento il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma (ed è già significativo il cambio di nome dal vecchio Garante diritti dei detenuti) – hanno vissuto una sofferenza specifica nell’ultimo anno. Tuttavia, proprio da tale specifica e dirompente difficoltà è possibile trarre un elemento positivo che deve essere ben considerato nel delineare l’orizzonte di ripresa. L’elemento positivo è il fatto che alcune latenti contraddizioni spesso poco evidenti sono divenute chiare, visibili: non si potrà dire di non esserne consapevoli».
Nelle carceri, si vive sempre sul filo del sovraffollamento. A fronte di formalmente 50.781 posti regolamentari, che però non sono mai effettivamente tutti disponibili, il 2020 era iniziato con 60.971 presenze, mentre l’anno in corso è iniziato con 53.329. D questi, ben 26.385 detenuti, ovvero quasi la metà della popolazione carceraria, devono rimanere in carcere per meno di tre anni. Di essi, ben 1.105 sono in esecuzione di una pena inferiore a un anno. «Tali numeri – commenta il Garante – danno una immagine plastica della fragilità sociale che connota gran parte della popolazione detenuta, perché indica coloro che non hanno accesso a misure che il nostro ordinamento prevede, spesso anche perché privi di fissa dimora. Non solo, ma rendono spesso soltanto enunciativa la finalità tendenziale alla rieducazione perché nessun progetto può essere attuato per periodi così brevi». È come se convivessero due realtà carcerarie immensamente diverse. Per chi entra ed esce continuamente di cella, «spesso il tempo della detenzione diviene così soltanto tempo di vita sottratto, peraltro destinato a ripetersi sequenzialmente. Questo sembra a me essere un problema ancor più grave dello stesso sovraffollamento perché rende difficile definire una direzione che accomuni chi in carcere opera verso la costruzione di un progetto condiviso».
Il Covid-19 ha poi clamorosamente messo in luce alcune zone oscure del nostro Paese. Il fenomeno delle Rsa, ad esempio. «Non potremo ignorare – dice ancora Mauro Palma, che oggi illustra alle Camere la Relazione – la separatezza che frequentemente avvolge le strutture residenziali per anziani o disabili e che era normalmente attenuata dal lavoro "supplente" delle famiglie o anche non portare a valore il contributo del mondo del volontariato all’interno di queste istituzioni chiuse nel momento in cui la non presenza di tali figure all’interno di quegli spazi e quei corridoi ha prodotto un vuoto che nei casi di sostegno alle disabilità rischia di determinare una regressione cognitiva importante».
Un mondo ignorato al punto che non si conoscono nemmeno i numeri aggiornati delle presenze. L’ultimo dato certo risale al 2018. Conteggiando le varie forme di residenzialità in strutture, sarebbero più di 420 mila posti letto, di cui 312.656 per anziani. Ma ci sono clamorose differenze tra Nord e Sud: 85.932 i posti in Lombardia, 44.555 in tutto il Sud, cioè diverse regioni meridionali non fanno la metà dei posti lombardi. Il Garante ha scoperto che troppo spesso le Residenze si trasformano in prigioni anche se sul portone non c’è scritto. Bisogna perciò garantire «ogni pur limitata e residuale possibilità di scegliere e orientare il proprio tempo». L’ospitalità di chi è accolto in residenze per anziani o per disabili, non deve trasformarsi «in una forma di internamento: la volontà espressa della persona non può mai essere un indicatore non considerato o considerato marginalmente, anche quando si vuole ipoteticamente agire per il suo bene». Già, perché qui si interviene sui diritti delle persone, e sulla privazione degli stessi diritti. «Ogni persona – conclude Palma – ha diritto alla significatività del proprio tempo, anche di quello recluso».