Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  giugno 21 Lunedì calendario

Il futuro delle città secondo Stefano Boeri

Immaginare il futuro dopo quello che ci è capitato non è facile. Eppure è assolutamente necessario farlo. Un architetto, un’Archistar, come si chiamano oggi con un brutto neologismo, per via della pandemia come tutti se ne sta in casa e decide di mettere in ordine i propri pensieri, i libri che ha letto, i progetti che ha realizzato. Così in una sorta di diario-riflessione, che non a caso si apre con l’immagine della sua finestra, Stefano Boeri ridisegna il proprio percorso. Cosa può fare un architetto se non disegnare, anche quando usa le parole? Sul tavolo sono poggiate via via riviste e volumi; ogni volta il piano è riprodotto in uno scatto fotografico cui segue un breve testo. Il volume s’intitola Urbania (Laterza), che è il nome di un paese italiano di rara bellezza, ma Urbs è anche la parola latina con cui indichiamo la città.
Boeri è un intellettuale che da anni pensa alla città futura, a quella che c’è già e a quella che ci sarà, che prenderà forma attraverso le nostre scelte, non solo quelle degli architetti. Ha fatto anche politica da giovane, e di recente è stato eletto nel consiglio comunale di Milano, assessore alla Cultura. A questo riguardo riflette sulla differenza tra i due mestieri e ne esce con una metafora spaziale: la politica è una attività che in gran parte si gioca sulla continua costruzione e ridefinizione di relazioni orizzontali: sulle alleanze, i compromessi, gli intrecci temporanei; l’architettura procede invece per linee verticali, in un progressivo avvicinamento delle intenzioni alle azioni. La ragione per cui gli architetti hanno potuto lavorare con i potenti – re, papi, presidenti – dipende da queste diverse direzioni, che mirano a cose differenti.
Boeri non è solo un architetto, l’autore, con i colleghi del suo studio, del “Bosco verticale”, cui deve la sua notorietà internazionale. Prima di tutto è un urbanista che pensa alla città come i suoi maestri degli anni Sessanta e Settanta. E ora a renderle sostenibili. Per quanto la parola sia oggi un passepartout, buona per ogni discorso, non si può certo dire che Boeri sia arrivato buon ultimo. Come il suo diario di letture mostra, sono decenni che ripensa al tema del rapporto tra cultura e natura, secondo un progetto che è in assonanza con quanto Philippe Descola va sostenendo da tempo nel suo insegnamento di Antropologia della Natura a Parigi: la Natura è una nostra invenzione seicentesca, un paradigma antropocentrico coevo del sapere razionalista; così la Cultura è un prodotto congiunto dell’Illuminismo e del Romanticismo, del secolo XIX ( Oltre natura e cultura, Cortina). Siamo tutti figli di quella rivoluzione concettuale che condiziona ancora i nostri pensieri su persone, animali, piante, oggetti.
Urbania, libro nato in uno stato di necessità, ne condivide tutta l’urgenza e al tempo stesso manifesta il bisogno di riflettere secondo una temporalità lunga, perché le conseguenze della pandemia non saranno solo epocali, ma piccole, continue e imprevedibili.
Sono conseguenze mentali prima di tutto, come ci mostrano le foto dei libri, degli opuscoli, delle riviste, poggiati sul tavolo di studio e lavoro di Boeri. I libri sono artefatti cognitivi, non meno complessi del computer con cui l’autore ha scritto queste pagine, ma sono anche lo scafo a cui ci si tiene stretti durante la tempesta. Sono i libri di una vita tirati giù dagli scaffali, opere sottolineate da studenti, lette da adulti, compulsate nell’età della “forza del carattere”, come la chiama Hillman, perché i libri sono l’ancora di salvezza dello studente Stefano Boeri – l’etimo di “studente” è “colui che si agita”.
L’architetto passa in rassegna il lavoro fatto sin qui, sempre collegato a idee o visioni scaturite dalle pagine di filosofi, sociologi, architetti, scrittori. Nell’angolo sinistro delle fotografie del tavolo figura sempre l’immagine di un libro in anastatica nascosto da un piccolo mappamondo e da due figurine una bianca e una nera – gli opposti; forse è un’opera di Galileo.
Bello il capitolo intitolato “Per una scuola del fallimento”, dove alla scala spaziale aggiunge quella temporale (il conflitto tempo e spazio ha segnato il modernismo architettonico): il successo o il fallimento di una architettura va infatti misurato su un piano temporale più lungo di quello che occorre per fare un progetto, presentarlo al committente, ottenere le autorizzazioni, costruire e inaugurarlo.
L’architetto è una professione per impazienti pazienti, qualità assai rara, vista l’accelerazione contemporanea che ha segnato ogni campo. In Urbania c’è il tema della natura, del rapporto con il mondo delle piante, verso cui Boeri tra i primi ha orientato il suo sguardo d’intellettuale e progettista. Andiamo verso tempi in cui il progetto immateriale sarà più importante di quello materiale, e dovremo imparare a far di più con meno. Boeri si è già avviato su questa strada.