Il Messaggero, 21 giugno 2021
Quant’è difficile bersi un bicchiere in Giappone
La fantasia che il governo giapponese e le varie autorità locali stanno dimostrando nel gestire l’emergenza è una delle piacevoli sorprese dell’era Covid. Assieme, e questo si applica anche all’Italia, all’improvvisa accelerazione imposta alla cosiddetta digitalizzazione. Per un Paese che fino a pochi mesi fa si muoveva si fa per dire ancora a colpi di fax e posta celere il cambiamento è percepibile e decisamente benvenuto.
Ma torniamo ai salti mortali che le autorità stanno compiendo per coniugare sicurezza sanitaria e convivenza sociale. Uno dei settori più colpiti dall’emergenza, soprattutto la terza, quella ancora in corso, è quello della ristorazione. Abbiamo già spiegato in precedenti puntate di questa rubrica che il Giappone non ha voluto né potuto, in base alla sua Costituzione imporre misure coercitive alla libertà personale e di movimento, dovendosi limitare a emanare di volta in volta, varie raccomandazioni. Ma i giapponesi si sa sono obbedienti, e i suggerimenti delle autorità, sia che provengano dal governo centrale che da un’assemblea di condominio, vengono in genere rispettati. In genere. Perché negli ultimi mesi, di fronte a decisioni obiettivamente incomprensibili e contraddittorie prima fra tutte quella di andare comunque avanti con le Olimpiadi di Alcatraz, come qualcuno le ha definite i giapponesi hanno cominciato a ribellarsi. Per carità, nulla di organizzato, di pubblico, di paragonabile alla manifestazioni di protesta che abbiamo visto in Europa e anche in Italia, semplicemente una lenta, ma sempre più estesa, tendenza a ignorare i suggerimenti. Lo scorso febbraio parlai del signor Hasegawa, titolare di una catena di ristoranti (che include anche il famoso ristorante Gonpachi, al quale si era ispirato Quentin Tarantino per una scena del suo mitico Kill Bill) che ha deciso di sfidare le autorità municipali di Tokyo: nei suoi locali, che sono sempre rimasti aperti fino all’alba, si è continuato a servire liberamente ogni sorta di alcolici.
Veniamo al punto. Nell’ultimo stato di emergenza, il governo ha individuato nel pubblico consumo di alcol uno dei rischi potenziali di diffusione dei contagi. Bevendo si sa si alza la voce, si perde il controllo, le goccioline danzano in libertà. Ed ecco che dallo scorso mese di aprile il governo ha imposto un divieto assoluto di mescita di alcol nei locali pubblici. Niente. Nemmeno un bicchiere di vino a pranzo o a cena, nemmeno una birra. Questa decisione ha davvero infastidito i cittadini. Per i giapponesi il nomikai (incontrarsi per bere) è un appuntamento pressoché quotidiano, quasi un dovere: pensate che il Giappone è uno dei pochi Paesi nel quale lo stato di ubriachezza a meno che non si tratti di reati contro il codice della strada costituisce un’attenuante, e non come da noi, un’aggravante (art.62 c.p). In Giappone, specie nelle grandi città, si esce dall’ufficio e si va, assieme ai colleghi, a bere nelle izakaya, i locali dove si serve ogni sorta di cibo, ma soprattutto dove si beve. Ai giapponesi, cui – dicono – manca un particolare enzima, basta poco per decollare, ma lo fanno in modo generalmente innocuo, senza mai diventare violenti o volgari, come capita in altri contesti etnici e culturali. Imporre ai giapponesi di bere da soli, o peggio ancora un’astinenza forzata al rito del nomikai non è facile e rischia come di fatto sta già avvenendo di aumentare i casi di depressione (che viene indicata con un poetico eufemismo: kokoro no kaze, raffreddore dell’anima) e di suicidio.
Per un po’ i cittadini hanno resistito, acquistando gli alcolici nei combini (empori che vendono un po’ di tutto, aperti 24 ore su 24) e inventandosi nuove forme di socializzazione digitale (popolarissimo il sito meet.jit.si/dontdrinkalone-jt, aperto 24 ore su 24, dove basta dare il proprio nome, anche falso per potersi unire ad altri sconosciuti per bere assieme). Ma la pazienza ha un limite. E così pure i danni economici che i vari esercizi pubblici, nonostante i generosi e puntuali ristori, stanno subendo per via di questa restrizione. E piano piano molti locali hanno cominciato a seguire il cattivo esempio di Hasegawa. Da tempo oramai, soprattutto un certi quartieri (Shinjuku, Shibuya, Ikebukuro) sono più i locali che servono tranquillamente alcol che quelli che rispettano i suggerimenti. E non è bastato che il governo metropolitano di Tokyo, con un’ordinanza di cui si è già contestata la costituzionalità, abbia deciso di sanzionare i disubbidienti, con multe fino a 300 mila yen (2500 euro). «Se e quando arrivano le guardie spiega Hasegawa noi non facciamo storie: firmiamo i verbali e ci riserviamo di contestarli. Sono sicuro che alla fine nessuno pagherà». Per ovviare a questa imbarazzante situazione di sempre più diffusa violazione delle norme, il governo ha annunciato a partire da domani nuove disposizioni. Decisamente fantasiose. Sarà infatti possibile vendere e consumare alcol dalle 11 di mattina alle 19 di sera. Ma solo fino ad un massimo di due clienti alla volta e per un totale di due ore. Nel corso delle quali si potrà ordinare un solo raddoppio, dello stesso tipo e misura. Sui social giapponesi sta scoppiando il finimondo, direi a ragione.