La Lettura, 20 giugno 2021
Intervista a Chuck Palahniuk - su L’invenzione del suono (Mondadori)
Chuck Palahniuk ha esaudito il sogno della sua infanzia: addentrarsi nei lati più oscuri dell’essere umano. Lo ha fatto da scrittore di successo — da bambino, molto prima di studiare al seminario di Tom Spanbauer, voleva diventare prete per conoscere quei segreti nei confessionali —, infilando nei suoi libri perversioni, paranoie, allucinazioni e tutto il risentimento della classe media bianca americana.
Venticinque anni dopo il debutto nella narrativa con la sua opera più famosa, Fight Club (1996; portata al cinema da David Fincher nel 1999, protagonisti Brad Pitt ed Edward Norton), Palahniuk torna nelle librerie italiane con un nuovo romanzo, L’invenzione del suono (Mondadori). Il libro segue due storie parallele, destinate a intrecciarsi. Quella della rumorista freelance Mitzi Ives, una giovane psicotica e masochista, perennemente impasticcata per dimenticare il dolore che infligge alle proprie vittime. Il suo lavoro consiste nel catturare le urla di persone sotto tortura, per poi vendere il prodotto finito all’industria di Hollywood, che nel libro ha il volto di un produttore eccentrico, Schlo, e di un’attrice decaduta, Blush Gentry. Mitzi adesca le sue vittime, le stordisce e le porta in una sala di cemento nel seminterrato di un bunker insonorizzato, presentato al lettore come un’attività legittima, la Ives Foley Arts-Rumori & Affini. Qui Mitzi ingurgita pillole di Ambien, ingolla bottiglie di vino e registra le urla che verranno usate al cinema. Quelle urla provocheranno morte, distruzione e caos generalizzato.
L’altro protagonista è Gates Foster, un uomo di mezza età a cui è sparita, 17 anni prima, la figlia Lucinda. Foster passa le giornate a indagare nel dark web, dando la caccia a pedofili e «cliccando tra immagini alla cui esistenza la gente si rifiuta persino di credere». La vita di Gates ruota intorno a un unico scopo: trovare Lucinda, continuare a sperare che sia viva perché non diventi parte di quell’agghiacciante statistica riportata nel libro: «In America viene rapito un bambino ogni quaranta secondi». Al telefono con «la Lettura», Chuck Palahniuk parla del nuovo libro, nel quale ritornano temi già esplorati nella sua produzione.
Nel saggio «Tieni presente che» (2020) ha svelato uno dei trucchi per diventare scrittori di successo, almeno negli Usa: raccontare disgrazie altrui, perché gli americani sono dei «voyeur fatti e finiti». «L’invenzione del suono» è un libro per voyeur?
«È un romanzo destinato a un’audience ampia. Cerco sempre di definire la natura delle mie storie, ma alla fine leggere è realizzare un desiderio: ogni lettore ha il suo. Ogni lettore scopre una certa quantità di caos e può toccare con mano l’inferno di altre persone. E filtra tutto attraverso la propria sensibilità. Per alcuni, questo romanzo comincia bene e finisce male mentre per altri è il contrario, comincia male ma ha un happy ending».
Ha sempre sostenuto che ogni sua storia è un esperimento. Che tipo di esperimento rappresenta questo libro?
«È innanzitutto un esperimento politico: mi sono chiesto che cosa succerebbe se le persone fossero in grado rovesciare il governo e decidessero di vivere segregate. Riuscirebbero a raggiungere la felicità? Nel libro dimostro che non è possibile, perché si arriverebbe a un nuovo stato di caos, a un nuovo livello di infelicità. Mi sono ispirato poi alle teorie di Gunnar Heinsohn. Secondo il sociologo tedesco, se in una società ci sono un certo numero di giovani con un’ottima istruzione ma non abbastanza occupazioni lavorative per includerli tutti, è facile che si arrivi a gravi disordini e sollevazioni».
Di solito i suoi personaggi sono ispirati a persone reali. Il caso più famoso è Tyler Durden di «Fight Club», basato su un suo amico, carpentiere nell’Oregon. Vale la stessa regola anche per questo libro?
«Per la maggior parte è un libro di finzione. Ormai non conosco più così tanta gente come un tempo».
Per stordirsi, Mitzi usa l’Ambien, un potente sonnifero. Il tema dell’insonnia c’era anche in «Fight Club»...
«L’insonnia è uno dei problemi della mia vita (ride, ndr). Mentre parliamo ho un gran mal di testa perché sono stato in piedi tutta la notte. Mi capita di prendere l’Ambien per lunghi periodi di tempo. Mi piacciono gli effetti di questa medicina, perché agisce sulla memoria a breve termine e cancella i ricordi meno piacevoli. Prendo l’Ambien quando attraverso momenti complicati o quando lavoro in modo maniacale a un nuovo progetto».
Che Hollywood voleva raccontare?
«Sono sempre stato affascinato dai modi in cui l’essere umano può modificare sensazioni intime. Penso alla pornografia, che è una modificazione del sesso destinata a un pubblico pagante. Anche le nostre urla appartengono a un universo intimo, che Hollywood trasforma in un cliché, vendendole agli spettatori. Lo esige il consumismo: Hollywood esaudisce ogni nostro desiderio di intimità attraverso uno standard preconfezionato».
Narrare un suono sulla pagina scritta è insidioso. In che modo è riuscito a fare «ascoltare» le urla al lettore?
«Il mondo del suono è una sorta di genere narrativo. Nel mio caso si trattava di costruire una storia e di isolare i suoni funzionali a questa storia, in modo che il lettore riuscisse a comprenderla. È stato meno complicato di quanto si possa pensare. In fondo, il mio mestiere consiste nel creare atmosfere».
Che umanità rappresentano i due protagonisti, Mitzi e Gates?
«Chiunque abbia un figlio prova empatia per Foster, si trova coinvolto sin da subito nella vicenda di un uomo che perde la sua bambina. Mitzi vive la situazione opposta, quella di chi ha perso un genitore. In ogni storia per bambini il personaggio principale perde un genitore, è un modo per catturare l’attenzione di chi legge, per entrare nella sua intimità. Nel libro esploro due situazioni drammatiche: entrambi i protagonisti vengono a patti con il loro dolore».
Scopriremo anche che entrambi i personaggi sono vittime di una manipolazione, un tema a lei caro...
«Foster è manipolato da forze più grandi di lui, che lo mettono di fronte a una realtà fraudolenta, ingigantita. Anche Mitzi è una vittima, anche lei di un disegno maligno più ampio: è stata formata con un apprendistato criminale».
Non è mai stato uno scrittore politicamente corretto. L’America segue questa strada, per esempio applicando alla letteratura e alla storia canoni e sensibilità contemporanee. Qual è la sua opinione in merito?
«Ogni generazione ha bisogno di emanciparsi attraverso i propri mezzi, per esercitare un certo potere. I giovani di oggi non sono libertini come i baby boomer. Da qui nasce il bisogno di applicare nuovi codici morali alla società. È inevitabile e naturale, significa entrare nel mondo degli adulti».
Lei racconta storie allucinatorie, dove ogni verità alla fine risulta capovolta. La letteratura è un modo per ingannare la morte? Per raccontare una versione diversa della nostra esistenza?
«Senza dubbio. Tv e cinema raccontano la versione della nostra storia più banale, quella che tutti cercano. I libri, anche se destinati a un’audience più ristretta, raccontano invece storie eccezionali».
Si è costruito la fama di «narratore degli estremi». Come è cambiata la sua idea di violenza in questi 25 anni?
«In Fight Club la violenza era un modo per riflettere sul potere. Nel nuovo libro c’è una breve scena di sesso: si tratta di una violenza a cui Mitzi si sottopone per essere soggiogata, sperando di rimanere uccisa. In questo caso è una violenza derivata da un istinto suicida. Non sono mai stato bravo a raccontare il sesso».
Il mondo femminile di Palahniuk prende forma con una frase criptica: «L’omicidio era il vero metro del progresso delle donne». Qual è il senso di questa affermazione?
«Quando si parla di una donna serial killer, si parla implicitamente di una donna in quanto vittima. La sua capacità di uccidere deriva dal suo essere stata precedentemente una vittima. Non c’è una serial killer che uccide per la gioia di farlo, come lo farebbe un uomo. Per Mitzi, è una questione di emancipazione».
Sta lavorando a nuovi progetti?
«Mi dedico solo all’insegnamento, una delle cose che mi tiene sveglio la notte».