Corriere della Sera, 20 giugno 2021
Intervista a Renato Pozzetto
Renato Pozzetto, il 22 giugno, a 80 anni, ritira il Nastro d’Argento Speciale e per il suo primo ruolo drammatico, in «Lei mi parla ancora». Emozionato?
«Ora no, ma quando mia figlia mi ha chiamato per dirmelo, non ho considerato più niente. Non sono abituato tutti i giorni ai premi. Però, emozionato lo ero già per aver fatto un bel film, diverso dai soliti miei, su un amore pulito».
Quello sulla vedovanza di Nino Sgarbi, papà dell’editrice Elisabetta e del critico d’arte Vittorio.
«Ho letto il copione e ho detto a Pupi Avati che sentivo di poter dare una performance onesta. Gli ho detto così e così mi sembra sia stato».
La scena che l’ha commossa di più?
«È una storia di vecchi amori che spero esistano ancora: Nino e Rina si sono giurati amore eterno e sono stati insieme per sessantacinque anni, ma mio padre e mia madre erano così, i miei sogni di ragazzo erano così. Il momento tragico della perdita dell’amore della vita, se l’hai vissuto, a riviverlo, ti emoziona. Non che uno per fare l’attore deve aver vissuto ogni cosa... Mica per girare Il ragazzo di campagna, prima, ho fatto il contadino».
Sua moglie Brunella, mancata tredici anni fa dopo una vita insieme, che avrebbe detto di questo film?
«Ma a lei non importava niente del cinema... Non è mai neanche venuta a vivere a Roma: dalla famiglia a Milano, tornavo io il sabato e la domenica. Avevo pure preso casa a via Del Colosseo. Sa che c’è in quella via?».
Il Colosseo?
«Da una parte... E dall’altra, i Fori Imperiali. Ma a lei piaceva vivere tranquilla, coi figli, la mamma. Era rimasto l’amore semplice di quando ci siamo conosciuti a sedici anni».
Diceva Michelangelo Antonioni che tutti gli attori comici sono anche bravi attori drammatici. Lei l’ha dimostrato dopo settanta film e 65 anni di carriera, a contare da quando, sedicenne, si esibiva con Cochi nei cabaret milanesi. Com’è che si è cimentato solo adesso?
«Era un interesse mai sfiorato, ma è vero che il comico osserva tanto la vita, come se la guardasse da un angolo distorto, giù da una finestra: la vedi strana. Io e Cochi, eravamo talmente poveri che, per divertirci, dicevamo qualsiasi cosa, anche chiedere un panino, in modo da far ridere. E quando cerchi la via di far ridere, vedi pure le tragedie che ci sono intorno. Abbiamo avuto la fortuna che i nostri miti, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Dario Fo venivano nelle nostre stesse osterie. Jannacci era quello che, a momenti, ti faceva piangere e, a momenti, ti faceva ridere. Pensi che bello aver fatto parte di quel discorso lì... Passare le notti all’Oca d’oro a farci un litro di vino e suonare la chitarra con loro e con gli artisti: con Piero Manzoni, con Lucio Fontana che ci diceva, in milanese: voi altri dovreste fare Sanremo».
Invece, lei e Cochi avete fatto Canzonissima: ventidue milioni di telespettatori a sera.
«Gli chiesi il permesso per girare il primo film, Per amare Ofelia di Flavio Mogherini. Avevo fatto leggere il copione a Beppe Viola e Jannacci e mi dissero che era una boiata, invece gli incassi furono favolosi e tornai a Milano col cuore in pace che avevo pure vinto il Nastro d’argento come attore esordiente».
Che fortuna quelle notti all’Oca d’oro a bere vino e suonare con Cochi, Gaber, Fo e Jannacci C’erano pure Piero Manzoni e Lucio Fontana
Avati che le detto del Nastro di adesso?
«L’aveva previsto. Mi aveva detto: vedrai che ti chiameranno. E io: ma no, dai...».
E Stefania Sandrelli, che interpreta sua moglie?
«È stata affettuosa e sul set mi ha aiutato tanto, come tutti quelli bravi. Quelli non bravi sfoderano il poco che sanno e, se possono, t’ammazzano. È stata straordinaria con me quando abbiamo girato la scena in cui va in ospedale a morire. Sul copione, ci avevo pianto; quando ho finito di girare, ho visto qualcuno asciugarsi la lacrimuccia».
A chi dedicherà il Nastro?
«Al cinema in generale. E a quelli che hanno vinto i David di Donatello».
Lei non l’ha vinto: pensa che non l’abbiano premiata per snobismo?
«Non ho detto questo».
E perché ride?
«Perché ho ricevuto un doppio applauso e, dato che fra i plaudenti c’erano attori, registi, produttori, secondo lei, che vuol dire? Che erano contenti che non l’ho vinto?».
Che farà quest’estate?
«Il 15 agosto sto a Milano: riapriamo il Teatro Lirico e io collaboro alla programmazione. Sui manifesti, ci sarà scritto che è dedicato a Gaber. Io ho proposto di aggiungere sotto: e Jannacci? Se ci fossero ancora, si divertirebbero».
Farà il bis col drammatico?
«L’inclinazione è far ridere. Pure se m’arrabbio finisco per dire cose che fanno ridere».