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 2021  giugno 20 Domenica calendario

Oscar di Montigny si racconta

Sono quei giorni in cui un uomo che non ha mai fatto politica deve decidere se iniziare a fare politica. L’uomo in questione è Oscar di Montigny, 51 anni, milanese, dal 2000 uomo in Banca Mediolanum, padre di 5 figli. 
Appunto, i figli: contenta la famiglia del suo nuovo orizzonte? 
«Le ultime riflessioni prima di sciogliere la riserva le sto facendo proprio a casa». 
Cosa hanno votato? 
«L’ultima riunione in camera di mio figlio, c’erano tutti: una figlia collegata da Londra, un’altra tornata apposta dal lavoro. Il primo dono di questa esperienza». 
Cosa la preoccupa? 
«La politica ha una copertura mediatica senza regole, per ora nessuno è d’accordo, ma nessuno neanche in disaccordo». 
Gabriele Albertini per motivi famigliari alla fine ha detto no: sarà il suo vice? 
«Se non mi sono ancora espresso su me stesso, sarebbe presuntuoso farlo sul vicesindaco. Mio suocero, Ennio Doris, mi dice sempre di tenere distinta la politica dagli affari. Ora però sono convinto che sia una fase in cui bisogna sporcarsi le mani». 
Scrive libri, è blogger, ha un programma alla radio, è un twittatore seriale. A livello di comunicazione non dovrebbe avere problemi... 
«Se accetto porto la mia visione». 
Con Beppe Sala sarebbe un’inedita sfida manager contro manager... 
«Se sei politico ti dicono che non hai mai gestito niente. Se sei civico che non conosci la cosa pubblica. Quello perfetto non c’è. A me interessa la prospettiva e se guardo avanti vedo innovazione e sostenibilità». 
Ha già il programma... 
«Non ho letto un manuale del bravo sindaco, intuisco scenari futuri, cosa portano in dote». 
Tra i suoi riferimenti ci sono Gandhi, Dalai Lama, Greta Thunberg, Lech Walesa: non un pantheon di destra... 
«Un’idea sana non è di destra o di sinistra. Mi hanno già attaccato troppe etichette. Le mie citazioni non le ho lette sui libri: cito Gandhi perché sono amico di sua nipote Tara. Cito la clown-terapia di Patch Adams, perché l’ho portato in Italia io». 
Di che politica ha bisogna adesso Milano? 
«Di un’operazione come quella di Mario Draghi: ora deve comandare l’obiettivo». 
Ha visto le scene di violenza tra i giovani della movida? 
«La sicurezza è centrale. Come le altre tre S: scuola, sanità, socialità. Manca un’azione per contenere l’esplosione di depressione che la pandemia ha generato». 
Da candidato molti ricorderanno il suo guaio giudiziario nel 2011... 
«La vicenda è personale e non aziendale: mi ero affidato a consulenti sbagliati e mi sono assunto la responsabilità dell’errore commesso per superficialità». 
Vive a Segrate, come può fare il sindaco di una città che non abita nemmeno? 
«Sono nato e cresciuto nei quartieri popolari, tra Baggio, Giambellino e Lorenteggio. I miei genitori vivono ancora lì. Molti dei miei amici di infanzia sono passati dal carcere minorile. Però mi prendono in giro per il cognome». 
Ricordi di Milano? 
«Quella da bere in cui da ragazzo lavoravo nei locali per pagarmi gli studi in Legge e Scienze politiche. Non sono arrivato alla laurea. A 21 anni sono volato a San Francisco. Poi ho fatto il tour operator. Il resto è la storia in banca». 
È vero che non si alza dal letto senza fare meditazione tutti i giorni? 
«Ogni mattina ho un momento di intimità con me stesso e da 20 anni mi rifugio ad Assisi per le pratiche di meditazione e preghiera». 
Quali riflessioni le hanno dato 15 mesi di pandemia? 
«La sofferenza ha costretto tutti a un momento introspettivo. Sono contrario alla narrativa del ritorno alla normalità, al concetto di resilienza, dobbiamo uscirne migliori».