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 2021  giugno 20 Domenica calendario

Intervista al numero uno dell’Agenzia delle Entrate Ruffini

Ernesto Maria Ruffini dal gennaio del 2020 è stato richiamato alla guida dell’Agenzia delle Entrate dal secondo governo Conte. Nella prima esperienza alla guida del Fisco, chiamato dal ministro Padoan ai tempi del governo Gentiloni, aveva creduto nella tecnologia imprimendo una forte accelerazione alla digitalizzazione. Aveva cambiato volto e trasformato Equitalia, per essere poi sostituito all’arrivo della nuova maggioranza post elezione del 2018. Non è un incarico semplice quello di capo delle Entrate. Ruffini poi, ha dovuto sconfiggere una dura malattia dal suo ufficio, come rivelato dall’allora ministro Gualtieri, perché dalla sua struttura passavano i ristori agli italiani nel periodo più buio del Covid. Più del ministro delle Finanze, chi guida le Entrate rappresenta la persona delle tasse con tutte le implicazioni tipiche dell’Italia: elevata pressione fiscale, elevata evasione, elevate complicazioni. Tutte cose che Ruffini sa benissimo. Ha fatto per 20 anni l’avvocato tributarista iniziando nello studio di Augusto Fantozzi. Poi la scelta di passare dall’altra parte, confermato nel suo ruolo dal governo Draghi su indicazione del ministro Franco. Questi sono gli anni della fatturazione elettronica, del modello 730 precompilato e, da ultimo, degli scontrini elettronici e del modello IVA precompilato. Ma non parlategli di Fisco amico… 
«Né amico, né nemico. Il Fisco deve essere equo ed efficiente», risponde al telefono dal suo ufficio di Roma. 
Evidentemente non è né equo né efficiente perlomeno per la politica visto che i leader dei partiti fanno a gara per cambiarlo. Ma qualcuno la chiama per chiederle consiglio? 
«Einaudi metteva in guardia dai consigli teorici, scaraventando dalla torre – in realtà, li gettava nella Geenna – quelli che definiva gli astratti dottrinari. Come Agenzia delle Entrate ci limitiamo a mettere a disposizione delle istituzioni la nostra esperienza pratica, affinché qualunque scelta il legislatore intenda adottare, possa avere una sua concreta e semplice applicazione e non rimanere solo sulla carta. In altre parole, non si dovrebbe inseguire ad ogni costo la perfezione teorica assoluta, giacché il risultato potrebbe essere un’assoluta imperfezione pratica». 
Non si nasconda dietro le parole. Ci sta dicendo che una riforma del Fisco non si improvvisa in poche battute … 
«Ma no. Anzi, i tempi sono sicuramente maturi per una riforma che tenga conto anche del costo di impianto che ogni riforma strutturale comporta per l’amministrazione e per il contribuente, tanto più se potenzialmente complessa. Ma soprattutto per una riforma che sia ampiamente condivisa per garantire che le nuove regole abbiano una certa stabilità nel tempo ed evitare che dai cittadini alle imprese agli operatori del settore – amministrazione compresa – debbano continuamente adattarsi a mutate cornici normative».  
Ogni giorno scopriamo che si vuol cambiare questo o quello. Lei forse si sarà abituato… noi contribuenti proprio no. 
«Il Fisco è un’opera pubblica, forse la più importante infrastruttura del Paese, perché da essa dipendono tutte le altre che possono essere realizzate solo grazie alle risorse erariali. Ecco perché è oggetto costante di così tante modifiche. Un cantiere sempre aperto che richiede una progettazione di lungo periodo e una costante manutenzione ordinaria e straordinaria. Ma è un’anomalia il fatto che la dichiarazione precompilata abbia istruzioni che superano le 130 pagine, perché devono spiegare altrettante norme e disposizioni». 
A volte si ha la sensazione che vogliano cambiare qualcosa che non conoscono. 
«Nessuno può affermare di conoscere il sistema tributario nella sua interezza, proprio per la sua complessità. Tutti dobbiamo districarci in una giungla di leggi confusa e a volte incomprensibile. Eppure, il Fisco tocca ogni fase della nostra vita, a partire dall’attribuzione alla nascita del codice fiscale e della tessera sanitaria, passando per la registrazione dei contratti di affitto e dall’acquisto della prima casa, dall’apertura di una partita Iva fino alla dichiarazione di successione. Proprio per questo è necessaria una riforma condivisa a cui tutti possano offrire il proprio contributo. Perché il Fisco riguarda tutti noi e il futuro della nostra comunità». 
Quello che teme è il patchwork di leggi appiccicate l’una sull’altra? 
«Occorre sicuramente mettere mano alla giungla di norme che caratterizzano l’intero sistema tributario. Ma le leggi, da sole, non sono sufficienti a cambiare la vita dei cittadini. Anche la migliore delle norme senza un’amministrazione in grado di attuarla diventa inefficace. Alla pubblica amministrazione servono risorse infrastrutturali, capacità organizzativa e, dunque, risorse umane sempre più specializzate». 
Ma intanto ritorna il Redditometro. 
«Sotto varie forme, il redditometro in realtà non ci ha mai abbandonato dagli anni ’80 per verificare quei contribuenti che sembrano non svolgere alcuna attività che possa giustificare il loro tenore di vita. Ma il legislatore potrà introdurre anche nuovi e più evoluti meccanismi». 
Posto che non si decida di fare cambi importanti come le tre aliquote proposte da Berlusconi. 
«Ho letto con attenzione tutte le proposte avanzate dalle varie forze politiche e mi pare che tutte, nessuna esclusa, rappresentino una fortissima esigenza di cambiamento e di semplificazione. Aspetti questi sui quali sono convinto si possa trovare una sintesi, come quella emersa in questi giorni per i titolari di partita Iva, di superare acconti e saldi e finalmente rateizzare i versamenti mese per mese. L’ultima grande riforma tributaria, quella ideata da Cosciani, risale ai primi anni settanta. Con il tempo, molte di quelle leggi hanno perso la loro originaria funzione di bussola del contribuente e sono state sommerse da mezzo secolo di legislazione fiscale». 
E non ci si ferma… Letta ha proposto una tassa sulla successione per finanziare i giovani. 
«Sono scelte che spettano a governo e Parlamento. L’importante è che sia una riforma ampia, in cui il legislatore trovi un punto di equilibrio condiviso». 
Rimane il tema di trovare risorse per il futuro e per le nuove generazioni. 
«Abbiamo una grande risorsa che potrebbe essere utile a tutti noi. Mi riferisco alla montagna di evasione fiscale che se recuperata potrebbe essere messa a disposizione di un progetto comune e per far ripartire il motore del Paese, perché con poca benzina non si può andare lontano». 
Siete voi che dovete cercare gli evasori, perché è così elevata l’evasione? 
«È ancora troppo elevata per varie ragioni a partire dalle radici storiche e culturali. Cento anni fa, Gobetti affermava che il “contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato; non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L’imposta gli è imposta”. In realtà, però, i dati degli ultimi anni ci dicono che sta lentamente diminuendo. E oggi la pandemia ci ha fatto capire ancora di più quanto sia importante pagare le tasse per avere servizi essenziali efficienti». 
D’accordo la cultura, ma voi potete fare verifiche? Non è che con la scusa della privacy si blocca tutto? 
«Premesso che la tutela dei dati personali è doverosa, ma occorre trovare il giusto equilibrio, altrimenti il diritto del singolo prevarica quello della collettività a disporre delle risorse derivanti dal pagamento delle tasse. Negli ultimi anni la digitalizzazione ha permesso significativi passi avanti e il patrimonio di dati e informazioni di cui disponiamo consentirebbe risultati ancora maggiori. Ma se non siamo autorizzati a utilizzarli, la lotta all’evasione fiscale avrà sempre le armi spuntate: è come avere un bolide ma tenerlo parcheggiato in garage». 
Le farei un’ultima domanda, lei è l’autore del 730 precompilato, fatturazione elettronica, nei prossimi mesi possiamo sperare in qualche semplificazione? E quei 18 milioni di italiani che hanno un contenzioso con il Fisco possono sperare di chiudere in qualche modo? Magari anche voi potreste inseguire meglio gli evasori… 
«L’autore è sempre il legislatore e i risultati sono delle donne e degli uomini dell’Agenzia. I 18 milioni a cui fa riferimento sono quelli che hanno almeno una cartella di pagamento: è un fenomeno complesso su cui c’è la massima attenzione».