Specchio, 20 giugno 2021
In Borsa il lusso batte il Covid
È un fenomeno psicologico conosciuto nel marketing. Si chiama Yolo, sigla che significa «you only live once». Insomma, si vive una volta sola. È una delle spiegazioni date alla ripresa spettacolare del settore del lusso, degli acquisti di borsette e abiti griffati. Se la crisi economica del 2008 aveva stoppato seriamente lo shopping di marca, la pandemia, dopo un raffreddamento iniziale, ha visto il rimbalzo, anche per compensare un’assenza o per spendere i soldi risparmiati senza viaggi e ristoranti. Perché si vive una volta sola. La «generazione Z», i nati dal 1995 a oggi, sono stati i primi a ricominciare a spendere, ma poi gli altri hanno fatto seguito, con la Cina come motore della ripresa. La tendenza si fa sentire pure in Borsa, sui titoli dei maggiori gruppi. Tutti francesi. Tutti alle stelle.
«Sono i nostri Gafam», ricorda a Parigi Christopher Dembik, economista, direttore associato della banca d’investimento Berenberg. I Gafam sono i maggiori gruppi tecnologici americani: Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft. Loro, invece, sono i Khol. Ovvero: Kering, Hermès, L’Oréal e Lvmh. Tutto (o quasi) nel lusso lo controlla il quartetto, anche tanto made in Italy (Gucci, ad esempio, è nelle mani Kering e Bulgari di Lvmh). «Non c’è alternativa ai francesi – sottolinea Xavier Gérard, gestore presso Optigestion -. Se vuoi investire nel comparto, non li puoi evitare. Proprio come i Gafam nella tecnologia». Perché i Khol sono tutti gruppi dai bilanci solidi, poco indebitati, dalla crescita continua da anni, dai margini elevati: appunto, come i tecnologici Usa. Tra le alternative ai francesi nel lusso, c’era il gioielliere Tiffany, a New York, ma Lvmh lo ha fagocitato all’inizio dell’anno. Resiste lo svizzero Richemont (che controlla Cartier), con una capitalizzazione di 60 miliardi di euro. Ma è il 30% in meno di Kering, il più piccolo dei Khol.
I numeri sono da capogiro. Lvmh, il gruppo più grosso (controlla, tra gli altri, Louis Vuitton e Christian Dior), ha superato i 335 miliardi di capitalizzazione in febbraio, diventando numero uno in Europa, davanti a Nestlé.
Ci sono altre cifre interessanti, l’evoluzione delle vendite dei Khol all’inizio dell’anno. Dimostrano che hanno già azzerato il rallentamento della pandemia. Nel primo trimestre del 2021 il fatturato di Lvmh (14 miliardi) è cresciuto del 30% su base annua, ma soprattutto dell’8% rispetto al primo trimestre del 2019, che per il lusso era stato un anno record. L’Oréal ha fatturato 7 miliardi (+10% al confronto con un anno prima e +5% sul primo trimestre di due anni fa). Kering (3,9 miliardi) ha fatto rispettivamente +26% e +5,5% ed Hermès (due miliardi) +44% e +33%. Uno studio di Bain & Company indica per il mercato mondiale del lusso un meno 22% delle vendite nel 2020 rispetto al 2019. Ma un +2% al primo trimestre 2021 rispetto all’inizio del 2019. Il boom è ripartito.
E insieme a quello delle vendite, c’è il boom delle azioni. Negli ultimi sei mesi i titoli dei Khol sono lievitati con percentuali comprese tra il 26,87% di L’Oréal e il 41,78% di Hermès. Verrebbe quasi da pensare a una bolla in vista, pronta per scoppiare. «Non credo a tale possibilità – sottolinea Dembik -. Sono aziende mature, con molto cash, una posizione dominante su diversi mercati. Come per i Gafam, siamo di fronte a titoli per «il buon padre di famiglia», con rischi relativamente ridotti». Il rimbalzo è dovuto nelle vendite in parte al Nordamerica ma soprattutto alla Cina. Lì la popolazione per il momento non può viaggiare all’estero, dove in genere pratica uno shopping ruggente. Ma dopo i mesi di confinamento, i cinesi si sono riversati nelle boutique presenti sul loro territorio nazionale, in particolare nella provincia turistica dell’Hainan. Anche le vendite su Internet hanno aiutato. Per il lusso in generale non erano molto sviluppate, ma nel giro di un anno, durante la pandemia, secondo Bain sono passate nel mondo dal 12 al 23% del totale. I Khol sono troppo dipendenti dalla Cina? Per Dembik «questo Paese può incontrare una miriade di problemi, anche bancari, ma il suo ceto medio si sviluppa inesorabilmente e con bisogni di consumo crescenti. Anche se interverrà un periodo di crisi per l’economia cinese, potranno esserci dei riflessi negativi per qualche trimestre, ma in ogni caso saranno temporanei». A fine aprile, comunque, certi social cinesi hanno preso di mira diversi influencer, sospendendo almeno 10 mila conti. Perché si può spendere e comprare. Ma (ed è il diktat delle autorità) non bisogna mostrare un potere d’acquisto eccessivo. Meglio di no.