Le domando se nel suo caso si può parlare di conversione e se sì da che cosa.
Risponde che la conversione fa pensare più al mondo dei computer che a quello dello spirito, ai file che devono cambiare codice per capirsi.
Io non ero niente, dice. «In un ritiro prima del battesimo nella periferia di Firenze un prete ottantenne ha chiesto a noi catecumeni la ragione della scelta. C’era chi si è convertito davvero. Un ragazzo musulmano di 19 anni che aveva attraversato l’Africa a piedi, era stato torturato in Libia e che stava per morire su un barcone.
Quando in piena notte una nave lo ha recuperato ha visto Gesù nel primo salvatore in carne e ossa. Ecco io non ho niente a che fare con la potenza di una storia del genere. E lì per lì questa asimmetria mi imbarazzava. Quel sacerdote lo ha percepito e mi ha detto che non è una gara, non è che siamo più umani se la ferita è più profonda o più violenta. Non possiamo essere competitivi anche di fronte al mistero».
Come è stata la sua vita precedente?
«Simile. Ma più semplice. Credere cambia prospettiva, per me poi non è una promessa di salvezza ma il tentativo di vivere più a fondo oggi.
Con più serietà. Questo non vuol dire diventare un’altra, rinnegare il prima o chissà cosa. Per me è stato un atto fondativo, sono nata due volte».
Gli architetti Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli sono i suoi genitori. Come si pongono nei confronti della fede?
«Hanno trovato una quasi-religione, fatta di loro due, che sono insieme il mondo e l’ulteriore, cioè quello che di inspiegabile questo mondo evoca e racchiude. Li invidio».
Quando è cominciato il suo cammino verso il battesimo?
«C’è un momento da commedia. Un tradimento. Lascio il mio fidanzato a casa e vado dal mio futuro fidanzato.
Un’alba estiva, lui sulla porta mi chiede di sposarlo in chiesa senza neanche conoscermi. Avevamo fatto un anno yoga insieme, io che con lo yoga non c’entro nulla. In ogni caso non mi stupisco della proposta, l’ego folle, ma penso che senza battesimo anche volendo non potrei dire di sì.
Ovvio che tutto questo casino non era legato a un ipotetico matrimonio. La prova è che dopo 4 anni non è ancora successo. Ma a parte questa scena alla Woody Allen, rimandavo sempre l’appuntamento con Dio. Fin da piccola. Per orgoglio e per paura. Mi sentivo più libera e più figa a non sapere le preghiere, a non dover andare a messa la domenica mattina.
Poi quando ho capito che poteva essere una alternativa alla paura, della morte soprattutto, ho deciso di avvicinarmi a qualcosa che non avevo mai pensato destinato a me».
Lo racconta davvero come se fosse stata una avventura meravigliosa.
«Non è una storia meravigliosa, quella di Gesù, soprattutto per chi di storie vuole vivere? Un Dio che si fa uomo, che si fa povero, si sacrifica muore e risorge, che vince la morte per starci sempre vicino».
Lei ha combattuto un cancro. Lo racconta in un bel libro. Dov’era Dio allora?
«È iniziato molto prima. Anzi, dopo il battesimo mi è successo di tutto. Ho sofferto come un cane per ragioni di lavoro, non mi sono sentita in grado di difendere le mie idee, mi sono detestata e sentita debole, mi sono ammalata, la mia migliore amica ha avuto un linfoma e in più la pandemia. Eppure continuo a credere. Non mi ero mai operata prima, mai stata in un ospedale una notte, e il destino, il caso, quello che è mi ha portato lì ad aprile dell’anno scorso, lo stesso giorno in cui mi ero battezzata un anno prima. Avrei potuto odiarlo Dio, invece mi pareva una cosa normale, ammalarsi. Una cosa in fondo vitale, orrenda e spaventosa, ma vitale. Umana».
Come ha giocato la partita con la morte?
«Non ho avuto paura di morire per una malattia, in quel caso, quel giorno, ho avuto paura di non svegliarmi dall’anestesia. O di svegliarmi senza voce. O senza memoria. Ho sempre paura di morire e non guarirò mai. In fondo non voglio guarire. La morte è una grande solitudine, un posto senza prima né dopo. Sconfinato».
Non pensa che serva attenzione anche alle cose semplici di tutti i giorni?
«Faccio attenzione infatti alle cose piccole. Anche se non significa che non faccio caso alla scala. Ma nel micro noto la differenza, e soprattutto leggo il mondo. Ho un problema reale a riconoscere le persone, un problema che è clinico.
Perché vedo i dettagli, un paio di occhiali, un modo di fare, il colore degli occhi. Ma anche cose esteriori. E allora se leggi il giornale camminando per strada puoi essere mio padre. Ho abbracciato sconosciuti».
Che cosa significa credere?
«Mi sento cristiana, non cattolica. Mi piace l’origine, mi piace Cristo. Gesù è un grande rivoluzionario, irresistibile ribelle, liberatore, che istilla un principio nuovo nel mondo e nelle sue relazioni: il mistero dell’amore. Che oltre la retorica è la forma più evoluta di interazione, per me, tra esseri umani. Credere?
Non lo so con certezza. Penso abbia a che fare con il dubbio più che con il dogma. Non è aderire a una serie di norme e precetti quanto trovare una direzione convincente in questa vita a tratti parecchio insensata. Non è morale. Non è ideologia. Credere però alla fine per me significa avere fiducia nella parola. Di Dio. E dell’uomo che è diventato».
Ricorda i dettagli del suo battesimo?
«La notte di Pasqua. Una pace mai provata mista a un grande caldo e freddo. Ricordo solo dettagli: mia madre che si lamentava per il freddo, mia sorella che mi sorrideva, l’odore della veste bianca che ho messo sopra gonna e giacca. Il rumore dell’acqua nel fonte di rame, il buio lì dentro, la voce di Betori, il fuoco davanti al sagrato di Santa Maria del Fiore a Firenze. E poi il battesimo da grandi prevede anche comunione e cresima. A un certo punto, ecco sì ricordo, sono andata dietro l’altare e vedevo la scena da un punto di vista inconsueto e in fondo impensabile.
Giuro che lì mi sentivo capace di tutto, pure di un miracolo. Ma non è mitomania, è la forza della parola, e della liturgia».
Crede nello spirito santo così come lo interpreta Bergoglio?
«Ecco, mi piace il suo modo di starci vicino. Papa Francesco è un mio amico, anche se lui non lo sa. Ogni volta che dice non dimenticatevi di pregare per me mi emoziona. E poi durante la pandemia è stato l’unico che ha ammesso la nostra piccolezza di fronte alla vita ma anche la potenza dell’uomo di immaginare e quindi di avere un futuro».
E lei prega?
«Prego sì, ma in modo libero. Prego quando vado a correre, quando mi sveglio di notte, quando ho paura, ovviamente, e mi sento in colpa di chiedere e basta e mi piacerebbe dare qualcosa in cambio, prego sotto la doccia. Di solito l’Ave Maria. Mi piace non dover scegliere le parole.
Poi a volte parlo con il mistero, di solito gli scrivo…».
Tutto si spiega in questo mondo in un modo o nell’altro, tranne la grazia di Dio. Lei dove la vede?
«Quello che è successo a me è stata una sua manifestazione. Non sono invasata o fondamentalista. Resto piena di difetti, miserie e orrori».
Ci sono stati presagi?
«Una ragazza morta per strada, giovane, faceva jogging. Qualche cresima in cui io però fingevo di essere di un’altra religione per spiegare la mia ignoranza fiera. Il matrimonio in chiesa dei miei genitori, l’omelia: di fronte al mistero l’uomo ha un solo atteggiamento adeguato che è l’ascolto».
Prima o poi la vita di chiunque si fa tragedia. Come si spiega un Dio che punisce allo stesso modo peccatori e no?
«Sì, è vero che si fa tragedia perché prima o poi tutti finiamo e questo è già inaccettabile come premessa.
Eppure non vedo in Dio la causa di questo avvicendarsi di destini e di certo non credo sia una sua punizione il morire. E poi i peccatori di oggi chi sono? Quelli che contraddicono i dieci comandamenti? O quelli che mancano il centro della propria vita?
Come la parola amartia , greca, suggerisce».
E se Dio esistesse solo perché noi esistiamo?
«Sarebbe troppo facile e forse funziona in un mondo drammaticamente egoista. Per esempio come Epicuro risolve il problema della morte: se ci sono io lei non c’è e viceversa, funziona solo se sei il primo o l’ultimo uomo sul pianeta».
Finiamo su strade terrene. Dove sta andando?
«Un nuovo romanzo, la ricerca di una tomba della mia famiglia. Il film dall’ultimo libro. E proprio ora, nel prossimo mese, giro un documentario su e con Ornella Vanoni. Ma visto che non so raccontare la realtà in modo realistico, questo documentario si sta trasformando in un film, come pure Ornella si trasformerà in qualcos’altro. Tra fantasia e memoria, una sirena che è una specie di ex voto, capace di continue metamorfosi e di poesia».