la Repubblica, 20 giugno 2021
Entro un anno la pillola anti Covid
Qualche linea di febbre, la gola che brucia. Tireremo fuori una pillola e con un sorso d’acqua il coronavirus sparirà. Per arrivare a vivere questa scena gli Stati Uniti si sono dati un anno di tempo. Non si limitano a sognarlo: la Casa Bianca ha stanziato 3,2 miliardi di dollari (e non basteranno) per la ricerca su un antivirale contro Sars-Cov2, efficace eventualmente contro coronavirus futuri. «Vogliamo accelerare dei lavori che sono già in corso» ha detto l’immunologo Anthony Fauci alla Casa Bianca nell’annunciare i fondi. Un’illusione? Anche i vaccini un anno e mezzo fa lo erano. Il lavoro dei laboratori e 19 miliardi di dollari della Casa Bianca l’hanno trasformata in realtà. E se i vaccini migliori li compriamo dalle americane Pfizer e Moderna è grazie a quella scommessa.
I vaccini però hanno quattro punti deboli. Spesso non proteggono le persone immunodepresse, perdono efficacia con le varianti, difficilmente arrivano ai paesi poveri e, in quelli ricchi, non sono accettati da tutti. Gli Usa ne sanno qualcosa, con le somministrazioni giornaliere dimezzate rispetto ad aprile. Un antivirale permette di rendere l’infezione innocua, bloccando la propagazione del virus nel corpo. Che la scommessa non sia sconsiderata lo suggerisce la prima di queste pillole, molnupiravir, messo a punto negli Usa da Merck-Msd, che è nella fase 3 delle sperimentazioni (quella finale). Sempre per non restare indietro, il governo americano ha già comprato 1,7 milioni di trattamenti a 1,2 miliardi di dollari. L’approvazione potrebbe arrivare entro la fine dell’anno.
«Al momento ci sono circa 250 antivirali allo studio contro Sars-Cov2» spiega Luca Guidotti, virologo, vicedirettore scientifico del San Raffaele di Milano e professore di patologia all’università Vita-Salute. «La chimica è più difficile rispetto ai vaccini e i test necessari preliminari alle sperimentazioni sull’uomo sono lunghi e costosi. Ma gli antivirali possono risolvere la malattia prima ancora che provochi sintomi gravi». Anche Pfizer e Roche hanno due farmaci anti Covid in sperimentazione. «Ma a differenza dell’Hiv e altre malattie virali croniche, il Covid guarisce in qualche settimana» ragiona Guidotti. «Un antivirale garantirebbe introiti limitati. Senza l’aiuto pubblico, molte aziende sarebbero rimaste titubanti».
Oggi contro il coronavirus si usa un solo antivirale: remdesivir, messo a punto sempre negli Usa (da Gilead) prima per Ebola, poi per la prima Sars. Nei paesi più ricchi sono approvati anche alcuni cocktail di anticorpi monoclonali. Tutti questi farmaci devono però essere somministrati per endovena in ospedale. I nuovi antivirali per i quali gli Stati Uniti hanno acceso i motori della ricerca saranno invece pillole da assumere per bocca e mandar giù con un sorso d’acqua ai primi sintomi, quando ha ancora senso bloccare la replicazione del virus e non si è scatenata la reazione infiammatoria alla base della polmonite.
«Il remdesivir è stato rispolverato per questa pandemia – spiega Guidotti – ma è difficile da somministrare e ha efficacia limitata. Anche molnupiravir è frutto della ricerca sui virus del passato. I fondi stanziati oggi invece puntano a una pillola espressamente contro Sars-Cov2, efficace e facile da somministrare».
Ci arriveremo, credono gli esperti, bloccando uno dei diversi meccanismi che il virus usa per moltiplicarsi nel nostro corpo e che non sono soggetti a mutazioni. «E subito dopo – prevede Guidotti – noi europei ci metteremo in fila per comprare il farmaco, al prezzo e alle condizioni decise dai produttori». Come se la lezione dei vaccini – ritardi delle consegne, trappole nei contratti segreti, aumenti unilaterali del prezzo – non bruciasse ancora. «Come ricercatore europeo, sono amareggiato» ammette Guidotti, anche lui al lavoro sugli antivirali contro il Covid. «Non dico dall’Italia, ma dall’Europa mi sarei atteso un bando di finanziamento per nuovi farmaci. Invece nulla o quasi, e non è certo la ricerca di qualità a mancarci. Ora ci uniremo a un gruppo americano per concludere una sorta di subappalto, come se fossimo una colonia».
Anche di remdesivir l’anno scorso restammo a secco, con la Casa Bianca che acquistò tutta la produzione da luglio a settembre. In grande affanno a fine estate concludemmo un contratto per 500mila cicli a un miliardo di euro, pochi giorni prima della pubblicazione di uno studio che giudicava la cura solo parzialmente efficace. «Tornando più indietro nel tempo – ricorda Guidotti – nel 2013 gli Usa approvarono una terapia rivoluzionaria contro l’epatite C, sofosbuvir, e ce la vendettero a 84mila dollari a trattamento».