Il Messaggero, 20 giugno 2021
Intervista a Emmanuel Carrère
«Ho fatto meditazione ogni mattina per trent’anni ma se oggi sono vivo, lo devo alla chimica e a quattordici elettroshock». Dopo molti eventi streaming in giro per l’Italia, Emmanuel Carrère è sbarcato a Taormina. Attesissimo, lo scrittore parigino classe ’57 – ieri sera ha ricevuto il Taobuk Award for Literary Excellence 2021, sul palco del Teatro Antico di Taormina (è stato premiato anche David Grossman) e in questa intervista nel giardino di un hotel taorminese, con il mare azzurro sullo sfondo si racconta. Il tono di voce è basso, profondo, Carrère sorride e fra un autografo e un selfie, mantiene sempre un elegante, cortese distacco, ripetendo il suo mantra: «Lo scrittore non può provare vergogna per ciò che racconta, per me la letteratura dev’essere il luogo in cui non si mente». Autore celebre e amato dal pubblico ricordiamo Limonov, Vite che non sono la mia e il reportage A Calais è tornato in libreria con Yoga (tutti i suoi libri sono editi da Adelphi) ponendosi ancora al centro della pagina – «ho un ego dispotico e smisurato, è il mio grande Avversario» – narrando di aver subito un profondo crollo psichico, cui è seguito un ricovero per quattro mesi in un ospedale psichiatrico parigino, ottenendo finalmente una diagnosi precisa per la sua sofferenza: disturbo bipolare di tipo II.
Monsieur Carrère, rileggere la sua intera vita dopo la diagnosi, è stato liberatorio?
«Non mi sento liberato semmai rischiarato, andavo in cerca della luce. Avevo bisogno di trovare la pace psichica ma sono consapevole che la libertà dai vritti (nell’induismo sono le onde di pensieri che la mente genera in modo incessante, ndr) è una pura utopia».
Scrive, la meditazione è vedere i propri pensieri come sono. Basta prendersi in giro?
«Crescere significa anche questo, no? Lo yoga non è semplice ginnastica così come la meditazione è cercare di togliere strati, provando ad eliminare il superfluo, il chiacchiericcio della gente».
Racconta il ricovero ospedaliero e gli elettroshock, denudandosi sulla pagina. La malattia mentale è l’ultimo tabù rimasto?
«Proprio così e vorrei che questo libro fosse utile per parlare apertamente del disagio psichico, rompendo il silenzio di chi soffre e dei familiari. Invece, si tace sulla depressione, sui disturbi bipolari e la schizofrenia, ci si auto-emargina come fosse un vero tabù».
Conosce il detto, i poveri sono pazzi e i ricchi sono eccentrici? Non sarà che lei è stato accettato solo perché è un celebre autore?
«No, non lo conoscevo (ride) ma non lo condivido. Siamo tutti esposti alla pazzia, ogni classe sociale ci casca dentro. Anzi, la malattia psichica è decisamente democratica. Aggiungo che sono stato curato al Sainte-Anne, un grande ospedale parigino e per esperienza diretta, posso dirle che le strutture pubbliche sono migliori di quelle private. Ma forse in quest’ultime si mangia meglio».
Michael Pollan e altri scrittori elogiano l’uso dell’Lsd e dell’ayahuasca in regimi controllati, per sbloccare la mente e liberarla. Lei cosa ne pensa?
«L’ho fatto. L’ho fatto e l’ho rifatto. Ho preso Lsd negli anni 70/80, ero davvero giovane e le dirò, è stata un’esperienza straordinaria perché l’Lsd è una grandissima droga e io non mi sono mai tirato indietro finché, un giorno, è arrivato il bad-trip. E mi creda, è stato un inferno, temevo di non uscirne e da allora mi sono detto, mai più».
Anziché ricorrere alla terapia elettroconvulsionante (tec), non crede che l’Lsd avrebbe potuto liberare la sua mente?
«No, perché l’elettroshock mi ha salvato la vita. Le porte della percezione, come dice il mio amico scrittore Hervé Clerc, possono spalancarsi con la meditazione ma è un fatto che dopo trent’anni di meditazione e psicologi, io abbia raggiunto la quiete solo grazie alla chimica, all’assunzione giornaliera di Litio. E mi creda, è sconvolgente rendersi conto che non c’è alcun merito in ciò, è solo pura e semplice chimica, non si tratta di illuminazione».
Lei ha sempre detto di ammirare Michel Houellebecq. Non ha voglia di esporsi politicamente, di dire la sua anche sui temi dell’attualità?
«Assolutamente ma le dirò, non mi fido delle mie opinioni politiche, cambio idea troppo facilmente e sono molto influenzabile ma d’altra parte, sto lavorando ad un nuovo progetto»
Ci dica di più.
«Sarà un reportage con sfumature politiche, una forma di narrazione ma adesso non posso dirle altro».
La quarta parte di Yoga tocca il tema dei rifugiati e dell’immigrazione. Vorrebbe fare di più?
(Si prende qualche momento in più e riprende): «Ho raccontato dei rifugiati siriani e afghani incontrati in Grecia, sull’isola di Leros. Ero lì per motivi strettamente personali ma trovandomi a contatto con loro ne ho ascoltato le storie, le ho riportate, cercando di aiutare a modo mio, cogliendone la complessità. Ma una cosa è certa, sono per l’accoglienza, per l’apertura delle frontiere e per la generosità».
La politica proprio non la appassiona.
«Voto da pochi anni e senza entusiasmo. Ma se ci trovassimo al bivio, Macron-Marine Le Pen, voterei Macron».
Nei suoi libri il piacere e i corpi sono raccontati senza freni inibitori. Oggi, fra il politicamente corretto e il #MeToo, si può ancora scrivere di sesso?
«Non me lo sono mai chiesto ma penso proprio di no. Temo che oggi, libri con una carica erotica come Facciamo un gioco (2004) non sarebbero ben accolti, forse non sarebbero nemmeno pubblicati».
È una censura puritana?
«Non saprei ma sicuramente è angosciante voler limitare la libertà artistica. Lo scrittore deve creare rimuovendo la vergogna, senza aver timore di essere giudicato. In fondo, non siamo così belli e puri come vorremmo raccontarci, è inutile prendersi in giro e illudere i lettori».
Ma porsi al centro della pagina è ancora sensato dopo la pandemia?
«Perché no? L’ego dispotico non è così raro, io racconto me stesso senza timore ma non credo di essere un mostro o una bestia da circo».
Carrère, oggi è felice?
«Oggi? Sì, qui è impossibile non esserlo e allarga lo sguardo verso il mare azzurro a pochi metri, i cespugli di buganvillea in fiore, la nuova compagna seduta a un altro tavolo e sono anche innamorato. Anche se sono consapevole che tutto finirà, riesco a godermi il momento».