Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2021
Anche lo spaghetto ha un suo linguaggio
Da sempre l’atto del nutrire gli individui e le collettività ha connotato il rapporto esistente tra governanti e governati, tanto in riferimento alle esigenze dell’assicurar loro disponibilità e distribuzione dei mezzi di sostentamento; quanto richiamandosi al bisogno di rafforzare anche per tal via una sorta di appartenenza identitaria attraverso riferimenti alimentari, che richiamassero tradizioni, abitudini, sapori ed odori propri di una ben precisata comunità.
Atto, dunque, nell’uno e nell’altro caso denso di valenze politiche, che si avvalevano di questi ruoli assegnati al cibo per definire obbiettivi tutti riferibili alla necessità di consolidare gerarchie di potere e legami sociali esistenti. Ecco, dunque, che il cibo, in tal modo «parlava» era chiamato ad esprimersi con un suo linguaggio in grado di unificare in sé, nella sua forza comunicativa, una dimensione immediatamente politica di trasmissione di valori, di costruzione di relazioni, di credenze religiose, di comportamenti sociali, di modalità produttive, di acquisizioni scientifiche. Perché – come afferma Montanari in apertura del volume – «il cibo è una forma di linguaggio che, al di là del suo valore nutrizionale, significa e veicola idee e messaggi di straordinaria forza espressiva».
In tale prospettiva di analisi di simili capacità, il volume si avvale dei contributi multidisciplinari di storici, antropologi, filosofi, semiologi, storici dell’arte, tutti chiamati a spiegare la molteplicità delle ricadute sociali, culturali, etiche dei tanti modi di proporsi del cibo: dalla frugalità alla lussuosa abbondanza dei potenti di turno; dalle produzioni artistiche di immagini di ricchezze alimentari alla rottura rivoluzionaria provocata dalle carestie e al massiccio intervento regolatore dello Stato come nei dopoguerra europei del ’ 900; fino alla scelta tutta culturale di ciò che effettivamente si ritiene mangiabile rispetto all’universo degli alimenti commestibili, e all’attuale ricerca di opporre il prodotto «naturale» all’eredità di un passato frutto di ricche elaborazioni culinarie.
Si succedono, così, nelle esemplificazioni di questo lavoro a più voci le descrizioni dei menù dei banchetti dei sovrani medievali dove le carni la facevano da protagoniste, cancellando le abitudini alla frugalità della classicità romana, che privilegiando pane, vino, olio, esaltava la produzione agricola e l’elaborazione gastronomica rispetto ai frutti non elaborati della caccia e dei vegetali dei campi e degli alberi.
Ed ancor più stupefacenti erano i messaggi veicolati dalle occasioni conviviali promosse, tra Quattrocento e Cinquecento, da quanti intendevano trasmettere agli autorevoli ospiti ma soprattutto ad un pubblico più vasto possibile il segno della loro ricchezza. Da qui le numerose narrazioni di tali eventi, organizzati da valenti professionisti della cucina, che raccontavano non tanto la qualità dei cibi gustati dai commensali, quanto piuttosto la fastosità stupefacente degli apparati scenografici che accompagnavano la successione delle pietanze, tra musiche, danze, esibizioni poetiche, piatti costruiti a guisa di elaborazioni artistiche, animali cotti e rivestiti dei loro piumaggi e delle loro pelli sì da farli sembrar vivi, coppi di pasta dai quali, tagliandoli, sfuggivano uccellini vivi ed altro atto a suscitar meraviglia.
Né mancano i messaggi che il cibo affida alla moderna pubblicità, in grado di collocare i mutamenti delle abitudini alimentari in un determinato contesto sociale, sì da far intendere le ragioni culturali, economiche, nutrizionali, consuetudinarie, a spiegazione delle scelte caratterizzanti l’imporsi di determinati prodotti. Così- viene esemplarmente documentato – fu per i manifesti che accompagnarono il passaggio dalle merende casalinghe con cui le mamme di un tempo riempivano i panierini degli scolaretti, alle merendine confezionate. Oppure avvenne con le campagne pubblicitarie della Findus che avvicinarono i bambini al consumo del pesce trasformato in prodotto dall’inusuale formato, di facile conservazione e pronto utilizzo.
Ancora, negli ultimi decenni si sono succeduti sugli schermi cinematografici film con protagonista il vino, eletto quale comunicatore di forme di vita privilegianti la campagna rispetto alla città, i ritmi della natura a fronte della frenesia urbana e della produttività industriale.