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 2021  giugno 20 Domenica calendario

Tav, l’acqua di galleria porterà in Val di Susa il teleriscaldamento

Nella galleria al chilometro 6+912 metri nel ventre della montagna sotto 2mila metri di micascisti e gneiss sulla parete umida della galleria una mano operaia ha dipinto alla luce del neon i due tricolori, francese e italiano, ai due lati della linea immaginaria del confine tra Italia e Francia che altri uomini hanno posto lassù, alla luce lontanissima del sole. Non cambia il panorama di qua e di là dal confine sotterraneo presidiato dal silenzio più opprimente. A terra scorre un velo d’acqua sorgiva calda.
Dopo avere raccontato e letto per anni il Tav, per la prima volta sono dall’altra parte della barricata – barricata in senso letterale – dentro alla Tav, nel ventre delle Alpi Cozie, per capire il lato ambientale della grande opera della Telt, la società che sta costruendo il traforo della futura ferrovia Torino-Lione. E dentro a questa galleria mi chiedo: tutto qui? Cioè: tutto questo casino da vent’anni – sì la valle da difendere, l’opera è utile o inutile, l’occupazione del territorio, i cittadini; sono d’accordo su tutto – ma stiamo parlando di questo?
Il Tav (treno ad alta velocità) è la sigla con cui è definito comunemente il progetto europeo per unire Lisbona con Kiev, e per alcuni chilometri attraversa le alpi da Lione a Torino forando le Alpi e distendendosi in un tratto della val Susa. Pare una di quelle opere con costi babilonesi, ribellismo sociale e tempi da terza dinastia. Tipo il Mose di Venezia. Però il Mose è quasi finito e, in via d’emergenza, funziona già. Invece il Tav è ancora alle perforazioni, anche se finalmente la macchina costruttiva è avviata.
L’opera è costruita dalla società Telt, Tunnel Euralpin Lyon Turin, 200 dipendenti fra la sede legale di Chambéry in Savoia e la sede operativa di Torino. Soci al 50% paritetico le ferrovie italiane e direttamente il ministero francese della Transition écologique. Il costo è previsto in 8,6 miliardi di euro, per il 40% finanziato dalla Ue, il 35% dall’Italia e il 25% dalla Francia. La rata attuale 2015-2022 costa 1,9 miliardi di cui 819 milioni in arrivo da Bruxelles. Ma l’Europa potrebbe concedere un contributo assai più sostanzioso, il 55%, se ci sbrighiamo e la smettiamo di ritardare frignando. Nei costi sono già stimati i sovraccosti e i ritardi imposti in Italia dalle spese non solo di safety (sicurezza sul lavoro) ma anche di security (sicurezza pubblica). I No Tav generano costi enormi e ritardi monstre. La consegna dell’opera è stata spostata dal 2026 al 2030.
Documenti, reticolati, camionette e blindati, attese. La torcia abbagliante puntata in faccia. Per entrare nei due cantieri, quello della Maddalena a Chiomonte e quello di San Didero, l’apparato di blocco e controllo è ossessivo. Dentro, pare di essere assediati dall’ostilità e nei momenti di tensione gli operai hanno terrore mentre lavorano; nel corso degli anni ci sono stati diversi feriti, danni ai beni personali dei dipendenti, aggressioni innumerevoli.
(Anche i No Tav hanno subìto danni e feriti, che descrissi tempo fa. Questa volta descrivo il lato assediato della barricata).
Come era in Puglia per il cantiere del metanodotto Tap, anche qui in Valsusa gli operai lavorano sequestrati in un recinto impenetrabile, reticolati e ronde, il presidio No Tav rugge di là dal grigliato d’acciaio. La libertà di lavorare, arbeiten. Smontato l’orrore delle barriere, in Puglia il metano scorre da mesi nella tubatura e in Salento ci si chiede: tutto qui?
Nel museo archeologico di Chiomonte alloggia – tra le voliere e i microscopi è ripiegata la branda da snodare ogni sera – la scienziata Irene Piccini, dell’Università di Torino. Insieme con i colleghi di Biologia e di Agraria studia per conto della Telt una farfallina coloratissima, la Zerynthia Polyxena. «È una piccola comunità, circa 150 farfalline»; sfarfallano sotto i piloni alti 50 metri immensi altissimi dell’autostrada Sitav del Freius, e fra le gambe di quei piloni c’è il cantiere cintato della Maddalena dove si scava il tunnel del Tav.
Sopra al cantiere, dietro alla recinzione, è bosco fitto con le bandiere No Tav e la “capanna Grillo”, la baita a due metri dal reticolato in cui nel luglio 2012 Beppe Grillo tenne un comizio che infocò le folle da cui volarono sassate contro gli operai là sotto.
Il cantiere di Chiomonte da un lato è stato risistemato con una scarpata artificiale, inerbita e punteggiata da betulle giovani, ottenuta dai sassi del tunnel scavato finora dalla talpa fresatrice Gea. Manuela Rocca, ingegnera, direttrice sviluppo sostenibile e sicurezza della Telt: «Il 60% del materiali di scavo viene riutilizzato in nuove applicazioni». Ecco uno dei riutilizzi di questa roccia: la cava abbandonata di Torrazza Piemonte a fianco del centro logistico dell’Amazon può essere riempita e può tornare uno spazio utile.
Pietro Elia, ingegnere, capo del cantiere Maddalena di Chiomonte: «Questa acqua sorgiva sgorga dalla galleria calda, a 35 gradi, e prima di immetterla nel fiume Dora dobbiamo raffreddarla in questi scambiatori di calore». Certo, altrimenti lesserebbe piante e pesci. La direttrice Rocca: «Durante gli anni di cantiere, l’acqua calda servirà al riscaldare il centro visitatori e in futuro servirà al teleriscaldamento di Susa. Sono 100 litri al secondo. Consentirà di spegnere caldaie e stufe». Domanda: perché è tiepida? «Normale gradiente geotermico dovuto alla profondità», risponde Rocca; «Neanche la minima traccia di elementi radioattivi o pericolosi».
L’altro cantiere è a San Didero, in un pianoro creato dal fiume, incolto, popolato da betulle, abbandonato. Montagnole di detriti edili, eternit compreso. Tubi elettrici, bidoni vuoti di intonaco, cataste di pallet lussati. Lacerti di recinzioni di plastica arancio da cantiere. In mezzo al pianoro ci sono gli edifici abbandonati in cui la Sitav pensava di realizzare la sede dell’autostrada, mai usata, ora scheletri di cemento dipinto a colori vivaci dai writer; finestre come orbite vuote.
Qui la Telt risanerà il terreno dai cumuli di sporcizia umana e trasferità qui l’autoporto dell’autostrada che oggi è al Susa. Si possono immaginare pensiline fotovoltaiche per ricaricare i veicoli elettrici, i piazzali per il rifornimento di idrogeno o di metano liquefatto, le zone con il verde.
Il terreno è cintato con le barriere B-fence con la “concertina israeliana”, il reticolato a lame che fa sanguinare già con il pensiero. Camionette e blindati ispezionano la recinzione alla luce delle torri-faro. Ricordo, in questo piazzale dove oggi si allineano i blindati dell’esercito e le barriere antintrusione, qui era il presidio No Tav, una folla densa di persone, il popolo ribelle pieno di rabbia e speranza, e come oggi la matita fermava i pensieri sul taccuino.