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 2021  giugno 19 Sabato calendario

Intervista a Di Martino e Colapesce


«Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente/ Anzi leggerissima/ Parole senza mistero/ Allegre, ma non troppo/ Metti un po’ di musica leggera nel silenzio assordante/ Per non cadere dentro al buco nero/ Che sta a un passo da noi», cantano a Sanremo Colapesce e Dimartino arrivando quarti ma poi primi in radio per sette settimane di fila. Occhiali neri, aria ultradepressa, balletto irresistibile nel video geniale della canzone, tra Pasolini e “trenini che non arrivano mai” da Grande bellezza, con più di 50 milioni di visualizzazioni. Tre dischi di platino e ora un ep di remix del brano con star internazionali come Cerrone e Moroder: 30 milioni di dischi venduti, amato da artisti più giovani come Bob Sinclair e Daft Punk.
Un dubbio che mi tormenta da sempre: come si pronuncia Cerrone? So che lei è di orgine italiana, di Frosinone, giusto?
Cerrone: «Sì, va pronunciato proprio come si legge in italiano. I miei genitori sono di origine romana emigrati in Francia dopo la guerra, io sono nato lì».
Come mai i suoi genitori sono andati in Francia?
«La famiglia Cerrone era molto numerosa, una quarantina circa. Una parte è andata a New York, mio padre invece ha scelto la Francia».
Le ha fatto piacere collaborare con degli italiani allora?
Cerrone: «Certo, assolutamente. E sono molto contento di poter finalmente mettere dei volti sopra questa produzione che mi sono divertito moltissimo a fare. Ero talmente ispirato che da quando mi sono messo a lavorarci non ho più smesso e ho finito in soli due giorni».
Dimartino: «E noi siamo felicissimi che abbia accettato di fare il remix perché si sposa benissimo con l’idea che avevamo del pezzo. Grazie al suo lavoro il brano ha avuto un’altra vita, per cui grazie davvero».
Perché avete pensato a lui?
Dimartino: «Perché Cerrone è un artista che non ha tracciato solo un discorso musicale ma un vero e proprio immaginario, che è quello che io e Lorenzo (Colapesce, ndr) abbiamo cercato di fare da sempre: ovvero il fatto che dentro un disco non ci sia solo la musica ma delle immagini che lo veicolano. Se pensiamo alla copertina della sua Love in C Minor, Supernature o
Cerrone’s Paradise viene in mente tutto un immaginario».
Cerrone: «L’insieme di questo processo secondo me è proprio quello che fa diventare una canzone una hit».
Lei ha iniziato da giovanissimo suonando la batteria: come mai proprio questo strumento?
Cerrone: «Non è stato un desiderio partito da me. Siccome ero un ragazzino molto turbolento e a scuola non stavo fermo un attimo, tanto che un giorno sono stato anche sospeso, mia mamma mi ha detto: “Guarda, se ti calmi un po’ alla fine dell’anno ti regalo una batteria”. Lì mi si è acceso qualcosa dentro: quando ascoltavo la musica non facevo neanche più caso al cantante ma solo al sottofondo, alla batteria. Così mi sono comportato bene e i miei hanno mantenuto la promessa. Da lì è cominciato tutto».
Come ha fatto?
«È stato un crescendo: prima ho incominciato da solo, poi ho creato un gruppo che non credevo avrebbe avuto successo, i Kongas, che invece è andato molto bene».
È vero che ha convinto Gilbert Trigano, uno dei fondatori del Club Méditérranée, a farla suonare lì?
«Vero a metà. È vero che ho suonato nei villaggi ma non sono stato io a convincerlo. Lui faceva un casting e sceglieva i migliori».
Era una bella vita?
«Sì (ride)».
E dopo?
«Mi sono messo da solo a suonare la batteria: pezzi lunghissimi di oltre sedici minuti. Non cercavo il successo, era un mio percorso personale e invece ha funzionato».
Io ho vissuto in tempo reale l’affermazione di Marc Cerrone, voi invece siete molto più giovani: come avete fatto a conoscerlo?
Dimartino: «Con Supernature perché la mettevano di continuo in un locale di Palermo che frequentavo. Da lì mi sono appassionato anche alla sua storia : mi aveva colpito che lui fosse primo nelle classifiche in Usa con Love in C Minor, senza saperlo: l’ha scoperto leggendo Billboard in Francia e così è poi partito per gli Stati Uniti. Questa idea che negli anni Settanta si potesse essere primi nel mercato discografico più grande del mondo a propria insaputa, mi affascinava».
Colapesce: «Mio padre aveva una discoteca e quindi l’ho ascoltato lì, da piccolo. Poi l’ho riscoperto da adulto e anche oggi continuo ad apprezzarlo: il suo ultimo lavoro, Dna, è stupendo! È incredibile come sia riuscito a passare attraverso le generazioni proiettandosi nel futuro a differenza di molti di quel periodo.
Del resto lui è un musicista vero, non c’è solo il “beat” nei suoi pezzi».
A proposito degli ultimi lavori: lei come è arrivato dalla batteria alla disco e alla musica elettronica?
Cerrone: «Sono entrato in contatto con il mio primo sintetizzatore per caso e in un pomeriggio ho fatto il 90 per cento di Supernature, che poi è diventato il mio primo, grande successo con cui ho vinto cinque Grammy. E comunque, anche quando uso l’elettronica, aggiungo sempre elementi di strumenti reali: percussioni, violini, orchestra».
Lei è stato anche il primo a mettere delle donne nude in copertina: perché? Creò scandalo ai tempi?
Cerrone: «Sì, fu uno scandalo enorme. La prima volta con Love in C Minor la copertina negli Stati Uniti dovette addirittura essere cambiata.
Mentre la foto per la copertina di Paradise fu difficilissima da realizzare: mostrava me vestito di bianco, davanti a un frigorifero anch’esso bianco, con sopra una donna nuda sdraiata in una posizione difficilissima, tanto che a un certo punto il frigo si aprì e un barattolo di yogurt cadde rovesciandosi. Io decisi di lasciarlo lì.
Tutto avrei pensato tranne che alle polemiche che vennero fuori, perché alcuni dicevano che fosse un barattolo pieno di cocaina!».
Era cosciente di star creando un tipo di estetica diversa, ripresa poi da vari artisti tra cui, per esempio, Bob Sinclair con cui ha collaborato?
Cerrone: «No, non era per niente calcolato. La cosa interessante è che quando quei dischi uscirono mi accusavano di cercare l’effetto facile per far parlare di me, mentre negli anni 2000 in effetti c’è stata una vera rivalutazione di quell’immaginario».
Oggi, che sono ancora altri tempi, forse certe cose verrebbero sommerse dalle critiche, eppure in brani come “Love in C Minor” il gioco si capovolge: all’inizio ci sono delle donne che parlano di un uomo, è lui la “preda"…
Cerrone: «Amo troppo le donne per mancar loro di rispetto! Per me non sono mai state oggetto ma soggetto: è sempre una donna in quel brano che dice “love me”, non un uomo! Al contrario, trovo che oggi ci sia molta più strumentalizzazione delle donne nei video che mi capita di vedere e anche molta più volgarità».
Dimartino: «Le sue copertine erano sensuali come lo erano i suoi ritmi. Se penso ai giri di basso di Je Suis Musique del 1978, beh, questa cosa si può sentire in pieno nella musica».
A proposito di amici-nemici: vi siete mai incontrati con l’altro grande della disco, Giorgio Moroder? Eravate rivali? Come era il vostro rapporto?
Cerrone: «In realtà non c’è mai stato un rapporto. Ci siamo incontrati per la prima volta solo due anni fa».
Ho un’ultima curiosità: Moroder qualche tempo fa mi ha detto che non è mai andato in discoteca e che non gli piaceva ballare. Anche per lei era così?
Cerrone: «Assolutamente no. Io adoro ballare, adoro il mondo notturno perché la gente si comporta in maniera differente dal momento che può finalmente lasciarsi andare.
Tra poco festeggerò i miei 50 anni di carriera e lo farò ballando!».
Colapesce: «Noi abbiamo un balletto che potremmo insegnarle, se vuole (ride)…».