Il Sole 24 Ore, 19 giugno 2021
Perù, braccio di ferro tra Castillo e Fujimori
Quella delle elezioni in Perù è una storia che intreccia la politica e l’economia, sì certo, ma anche l’antropologia e la geografia. Il maestro elementare Pedro Castillo, che si dichiara marxista, ha ottenuto una manciata di voti in più dell’altra candidata, Keiko Fujimori, populista di destra figlia del dittatore Alberto Fujimori, condannato a 25 anni di prigione. Eppure non c’è chiarezza definitiva sull’esito del voto. La contrapposizione è frontale e il dialogo è soverchiato dalle polemiche e dalle citazioni giudiziarie. È il Perù di (quasi) sempre, dell’incomunicabilità tra classi sociali e gruppi di interesse. Il primo romanzo, “La città e i cani”, di Mario Vargas Llosa, grande scrittore peruviano, venne bruciato in piazza perché dissacrante nei confronti dell’accademia militare. Oggi scenderanno in piazza decine di migliaia di persone, organizzazioni sociali e civili, sindacati, studenti universitari, militanti contadini, partiti politici e personalità di rilievo hanno indetto una “Grande Marcia nazionale” in difesa della democrazia, a sostegno del candidato presidenziale Pedro Castillo.
I due mondi fondamentali e contrapposti del Perù, la costa e la sierra, il conflitto tra mondo bianco e mondo indio, riflettono bene la spaccatura dell’elettorato tra Castillo, 51 anni, e Fujimori 46 anni, e i modelli politici che propongono. Castillo, 51 anni, raccoglie la stragrande maggioranza dei consensi nelle regioni interne del Paese, Fujimori, 46 anni, è forte a Lima e sulla costa del Pacifico.
Il maestro elementare ha costruito la sua campagna elettorale con l’immagine di sé a cavallo, con un cappello da campesino e una grossa matita simbolo di emancipazione da povertà e ignoranza. «Servonoi un ribaltamento degli equilibri, una profonda redistribuzione dei redditi e l’attuazione di un modello socialista». Questa la sintesi del suo programma, diametralmente opposto a quello di Fujimori, paladina dell’ultraliberismo, unico pilastro cui ancorarsi.
Nella Lima di queste settimane, “orribile e grandiosa”, altra efficace definizione geografico-letteraria, le incognite prevalgono sulle certezze.
L’Ufficio nazionale per i processi elettorali (Onpe) alcuni giorni fa ha annunciato la fine dello scrutinio dei voti del ballottaggio presidenziale del 6 giugno. Castillo ha vinto con 44mila voti di scarto e il 50,1% di schede a suo favore. Fujimori ha ottenuto il 49,9%. I pochi voti di vantaggio del maestro Castillo gli hanno consentito di proclamarsi vincitore e dichiarare che il suo governo «sarà rispettoso della democrazia e della Costituzione del 1993, garantendo al tempo stesso stabilità finanziaria ed economica».
L’ombra di Alberto Fujimori
Nelle ore in cui Keiko Fujimori chiede un riconteggio delle schede è costretta a incassare un’accusa pesante dalla giustizia peruviana, in merito all’inchiesta sulla corruzione del caso Odebrecht (L’imprenditore brasiliano Marcelo Odebrecht avrebbe pagato tangenti a Keiko in cambio di appalti in Perù; un’inchiesta giudiziaria culminata in 36 mesi di prigione già scontati e una richiesta di condanna, non ancora arrivata a compimento, di 30 anni). Nei giorni scorsi il Pubblico ministero, José Domingo Pérez, ha deciso di intervenire e di chiedere di nuovo l’arresto per Keiko. «È di nuovo accaduto che l’imputata Keiko Fijimori infranga le disposizioni di non comunicare con i testimoni dell’inchiesta», scrive il magistrato nella sua richiesta. «È pubblico e notorio che dialoga e incontra il testimone Miguel Torres Morales». Keiko Fujimori aveva convocato, 8 giorni fa, una conferenza stampa per denunciare ancora una volta le presunte frodi commesse in quasi 300 seggi. Si era presentata con a fianco proprio Miguel Torres Morales che aveva indicato come responsabile giuridico del partito e responsabile dei ricorsi e delle richieste di nuovi conteggi nel frattempo già presentati alla Commissione elettorale nazionale. Keiko potrebbe quindi perdere la libertà provvisoria di cui sta godendo e ricadere nel conflitto permanente giudiziario che ha caratterizzato la presidenza del padre, il dittatore Alberto Fujimori.
Gli scenari regionali
La probabilità ormai altissima che la vittoria di Castillo venga confermata dagli organi preposti all’annuncio, ha già acceso il dibattito sul Perù degli anni a venire: si consoliderà un’alleanza con le sinistre radicali di Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Cuba? Oppure Pedro Castillo guarderà al Brasile post-Bolsonaro e al Cile post-Pinera, e all’Argentina di Alberto Fernandez? Paesi questi ultimi dove le politiche sociali diverranno più marcate, senza derive di tipo autoritario.
Anche in questo Perù conteso sono pertinenti le considerazioni del Nobel per l’Economia del 2019, Esther Duflo, scritte in un bel libro, “Lottare contro la povertà”. Duflo spiega bene quanto sia necessario sperimentare sul campo le teorie che funzionano e, se necessario, abbandonare quelle inadeguate. «L’economista non può adottare un atteggiamento normativo nei confronti degli operatori economici». Proprio così. Se un professore di fisica consigliasse un giocatore di biliardo (o, peggio ancora, lo sostituisse) il risultato sarebbe disastroso: la palla non andrebbe mai in buca.