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 2021  giugno 19 Sabato calendario

Intervista a Francesco Zambon, l’uomo si era dimesso tre mesi fa dall’Oms denunciando le opacità del massimo organismo mondiale della sanità

Deluso, solo e disoccupato, il dottor Francesco Zambon se ne va: «Con un mutuo da pagare ho pensato di mettere in vendita la casa di Venezia e trasferirmi in un appartamentino di famiglia su in montagna».
Non che l’ex funzionario dell’Oms sia finito sul lastrico, sia chiaro, ma due conti in tasca se li è fatti pure lui e ha deciso che senza uno stipendio non poteva più permettersi la città lagunare dove ha lavorato per anni. Trevigiano di Vittorio Veneto, Zambon si era dimesso tre mesi fa dall’Oms denunciando le opacità del massimo organismo mondiale della sanità: la «mancanza di trasparenza e indipendenza», i «conflitti d’interesse», il «piano pandemico nazionale non aggiornato» e quel report, poi ritirato, in cui lui definiva «improvvisata» la risposta italiana all’emergenza Covid. Accuse messe nero su bianco prima davanti ai magistrati di Bergamo e poi fra le pagine di un libro scomodo, «Il pesce piccolo», nel quale ha rilanciato il suo sfogo.
Dottor Zambon, dimissioni pagate a caro prezzo.
«Già, lavoravo da 13 anni nell’Oms con contratto a tempo indeterminato. Prima cinque anni a Mosca, poi Venezia... Ho dovuto rinunciare anche al Tfr. Per regolamento interno quando ci si dimette dall’Organizzazione non si ha diritto al trattamento di fine rapporto».
Lei quindi non ha più entrate?
«È la ragione per cui sto cercando di vendere la casetta che avevo comprato in città. Potrei metterla anche in affitto ma il periodo è difficile. In ogni caso mi sono già spostato a Domegge, Cadore, in un piccolo appartamento di famiglia».
Ci può dire quanto guadagnava all’Oms?
«Il costo per l’azienda era di 220 mila dollari l’anno, lo stipendio circa 7.500 euro netti al mese. Il mio contratto fino alla pensione aveva un valore di quasi 4 milioni di dollari. Diciamolo: nessuno si dimette mai dall’Oms».
Un signor stipendio, non poteva fare le sue battaglie rimanendo nella struttura?
«L’ambiente di lavoro era diventato difficile, io ero sempre più emarginato. Non è stata comunque una scelta facile. Diciamo che in me ha prevalso la questione di principio: l’Oms aveva tradito la sua missione di indipendenza, di trasparenza, di organismo super partes che tutela la salute dei cittadini nel mondo. Il mio rapporto sulla pandemia era stato ritirato solo perché dava fastidio al governo italiano, non per ragioni di verità. Inaccettabile».
Ha subito pressioni?
Le dimissioni
Ha prevalso la questione di principio: il mio report sulla pandemia ritirato solo perché dava fastidio
«Fin dal maggio dello scorso anno, quando ho consegnato il report. Il dottor Guerra, direttore della prevenzione dell’Oms, mi aveva chiesto di modificare il testo, altrimenti sarebbe andato da Tedros, il dg dell’Organizzazione, a dire che stavo mettendo l’Oms a rischio reputazionale. La verità è che l’Oms subisce pressioni al suo interno da persone che hanno interessi diversi da quello della salute pubblica».
Lei ha raccontato tutto questo alla Procura di Bergamo, dove c’è un’indagine in corso e dove il direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra, indagato per falso, ha depositato una memoria nella quale sostiene cose diverse: che il piano pandemico non andava aggiornato se non nel 2017 e che la decisione di rimuovere il report fu presa altrove.
«Non è così e aggiungo: lo scorso anno la Procura di Bergamo mi aveva convocato tre volte per testimoniare ma l’Oms non ha mai dato l’autorizzazione invocando l’immunità funzionale che spetta ai dipendenti delle Nazioni Unite. Finché in dicembre sono andato io spontaneamente. E sono tornato la scorsa settimana».
Con le dimissioni ha forse anticipato il licenziamento, non crede?
«Non ero licenziabile. Non ho mai avuto un richiamo, anzi solo riconoscimenti per le performance. Lo scorso settembre, dopo che avevo parlato con Report, mi avevano proposto il trasferimento in Bulgaria. E io avevo anche accettato ma poi è scoppiata la seconda ondata e non se n’è fatto nulla».
Si sente solo?
«Mi è mancato il supporto all’interno dell’Oms, nessuno mi ha difeso perché il clima lì è di terrore. Fuori ho avuto invece molta solidarietà. C’è gente che mi ferma per strada per ringraziarmi».
Cosa farà ora?
«Ho avuto delle proposte, sto valutando. Sono laureato in medicina e specializzato in sanità pubblica. Mi sono sempre occupato di salute e politiche sanitarie. Farò questo».
Non teme di ritrovare i pesci grossi della sanità?
«Sì, assolutamente, ma penso anche che ci siano delle acque dove i pesci piccoli sono più apprezzati. E poi i pesci piccoli sono molti e possono unirsi».