ItaliaOggi, 18 giugno 2021
Il nodo palestinese è del 1918
Quando si parla del conflitto israelo-palestinese non si può ignorare il contesto storico all’origine di tutto: l’esito della Prima Guerra Mondiale. Nel 1918 ormai in ritirata su tutti i fronti e con l’esercito ridotto a un sesto della forza originaria, all’Impero ottomano non restò altro che trattare la propria resa: il 30 ottobre i suoi rappresentanti siglarono l’armistizio di Mudros e il 13 novembre una forza d’occupazione alleata si stabilì a Costantinopoli. Negli anni successivi, dopo le vicende della guerra d’indipendenza turca, che vede l’ascesa al potere del «padre della Turchia» Kemal Atatürk, con i vari mandati stabiliti dall’allora Società delle Nazioni i Paesi arabi facenti parte dell’Impero ottomano vengono assegnati a Francia e Regno Unito. La Francia ebbe il mandato sulla Siria e sul Libano, mentre il Regno Unito sulla Palestina, la Transgiordania e la Mesopotamia (l’odierno Iraq), seguendo le sfere di influenza definite negli accordi segreti di Sykes-Picot del 1916.
Con le suddivisioni territoriali, gli Alleati della Prima Guerra Mondiale beneficiavano della vittoria attraverso un controllo diretto o indiretto di ampi territori, in questo caso, anche del Medio Oriente. Lo scopo della Società delle Nazioni era quello di guidare l’economia dei Paesi arabi, promettendo piani di sviluppo per migliorare le già allora precarie condizioni di vita di ampie fette della popolazione.
La comunità ebraica era già presente in Palestina e nel 1915 contava 83 mila persone. Il progetto «sionista», già teorizzato nel diciannovesimo secolo, mirava a far sì che gli ebrei sparsi per il mondo potessero ritornare ad avere, dopo secoli, una propria nazione. Quando la Palestina fu assegnata al mandato britannico, il Regno Unito decise di avallare il progetto, anche per tenere sotto controllo la presenza araba. Lord Arthur J. Balfour nel 1917 disse: «Il governo di Sua Maestà vede con benevolenza l’istituzione in Palestina di una National Home per il popolo ebraico e farà del suo meglio perché tale fine possa essere raggiunto, rimanendo chiaro che niente deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina.»
Questo è un punto fondamentale per comprendere l’origine delle ostilità. Il punto di vista ebraico parte proprio da qui: dopo la Prima Guerra Mondiale gli arabi avevano diritto certamente ad avere dei propri Stati, ma in realtà ciò non sarebbe stato individuato nella Palestina, che sarebbe dovuta essere di pertinenza ebraica nella sua integralità. In effetti una versione della bandiera della Palestina durante il mandato britannico aveva impressa la «stella di David», così come appare oggi anche nella bandiera dello Stato di Israele. La possiamo vedere ritratta in una edizione del dizionario Larousse del 1939.
È importante soffermarsi su questo punto. Gli inglesi avevano certamente promesso delle terre alle popolazioni arabe per aver supportato l’Alleanza nell’attacco decisivo contro gli ottomani, di cui loro stessi erano desiderosi di liberarsi definitivamente, ma anche leggendo la storica dichiarazione di Balfour è la versione ebraica che appare maggiormente avvalorata: l’intero mandato britannico sulla Palestina sarebbe dovuto passare sotto il controllo del popolo ebraico, mentre agli arabi sarebbero spettati gli altri Stati. Sarebbero sorti successivamente infatti il Libano, la Siria, l’Iraq, la Giordania, la stessa Arabia Saudita, tutti Paesi che nei piani dei vari mandati erano già stati assegnati alle popolazioni arabe. Se non si parte da questo dato storico fondamentale non riusciamo a capire perché la Palestina è stata da sempre una terra contesa sia dalle popolazioni ebraiche che da quelle arabe.
Accade così che dagli 84 mila presenti nel 1922 si arriva a oltre 900 mila ebrei nella Palestina del 1947. La grande immigrazione viene coadiuvata dall’Agenzia ebraica («Sochnut») che permetteva anche l’utilizzo di fondi per acquistare i terreni dagli arabi presenti in Palestina, per sistemare così l’arrivo dei nuovi coloni. L’efficace organizzazione spinse le autorità britanniche a consigliare agli arabi di fondare una Agenzia con le stesse finalità, proposta che però fu subito respinta dai leader delle comunità locali. La forte immigrazione non tardò ad alimentare le tensioni con le comunità arabe che si sentivano minacciate dal crescente arrivo dei coloni ebrei. Aggiungiamo pure le scarse risorse presenti e l’aumento della disoccupazione, in particolare tra gli arabi, e il quadro è completo. Nonostante l’Agenzia acquistasse regolarmente le terre dagli arabi, provocandone così l’allontanamento da diverse aree, si andò diffondendo l’idea di una invasione da parte degli ebrei in una terra la quale venne regolarmente assegnata dagli accordi successivi alla Prima Guerra Mondiale.
Il sionismo ha fatto certamente comodo agli inglesi, che vedevano negli ebrei una presenza rassicurante in Medio Oriente, come baluardo e argine alla espansione araba. La proposta dei due Stati in Palestina in realtà nasce solo successivamente, lì dove fallisce il progetto di un unico Stato che avrebbe dovuto essere il perfetto continuum del mandato britannico, senza alterarne i confini. In sostanza gli arabi ivi presenti, certamente garantiti nei diritti civili e religiosi, avrebbero dovuto lasciarsi governare dalla comunità ebraica come in parte accade oggi nell’attuale Stato di Israele. Agli arabi sarebbe rimasto il governo diretto di tutti gli altri Stati sorti dalla caduta dell’Impero ottomano.Il popolo ebraico viene visto invece come una minaccia esistenziale da parte delle comunità arabe dall’accettazione si passa rapidamente al loro rifiuto. I nuovi assetti geopolitici in M.O. sorti dalla Prima Guerra Mondiale furono quindi rifiutati dagli arabi. La Palestina divenne così il vero oggetto di scambio, quella eterna terra promessa sempre negata ad un popolo fiero ed orgoglioso delle sue origini e della sua storia.